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Non solo strumenti, ma anche luoghi. I social network come città.

Non solo strumenti, ma anche luoghi. I social network come città.

fr. Francesco Lorenzon op
Mappa dei social network

L’invenzione dell’orologio meccanico avrebbe aiutato a far nascere la mentalità scientifica dell’uomo moderno. È questa la tesi affascinante di Lewis Mumford, espressa in un libro del 1934, Technics and Civilization1. Gli orologi meccanici, inizialmente nati nei monasteri cistercensi per l’esigenza di rispettare più facilmente la suddivisione della giornata regolare monastica, e diffusosi velocemente nel tardo medioevo, avrebbero influenzato l’uomo a creare una mentalità più analitica nei confronti della realtà, fornendo un buon terreno di coltura per la nascita della scienza moderna.

Non tutti saranno convinti di questa ipotesi. Ma a prescinderne dalla validità, sembra davvero che l’uomo che crea e plasma la realtà non sia immune dalle creazioni fuoriuscite dalle sue stesse mani. Pensiamo all’invenzione del microfono, e di come essa abbia cambiato il modo di fare musica. Senza amplificazione è impossibile cantare sottovoce, bisbigliando le parole… una cosa che invece è resa possibile per mezzo della tecnica, crendo l’effetto d’un canto che simula una intimità tra chi emette la voce e chi ascolta, uno stratagemma che effettivamente venne sfruttato musicalmente2. Gli esseri umani creano, e sono influenzati dalle loro creazioni.

Quando poi il cambiamento non tocca solo un ambito della nostra vita come il canto, ma la socialità umana, ci rendiamo conto dell’immensa posta in gioco. Di fronte ai rischi di una tecnologia, come si reagisce per darne un giudizio? Si usa spesso la chiave di lettura dello “strumento”: la bontà o la dannosità di un prodotto dipenderebbe allora dall’uso che se ne fa. Come un martello, se lo usi per martellare i chiodi va bene, se lo usi per distruggere una statua di Michelangelo potremmo avere qualcosa da ridire. La tecnica sarebbe dunque neutra sotto questa angolazione. Ma è proprio così?

Molte delle nuove tecnologie di comunicazione hanno una complessità molto più alta, presentano interessi diversi tra potenti aziende di tecnologia, governi e politici, mercati, adolescenti e genitori iperoccupati, permettono conversazioni e interazioni globalizzate… e soprattutto, prendendo parte così intimamente alle relazioni umane, condividono la complessità degli esseri umani, creature a metà tra terra e cielo. I social network non sono dunque assimilabili a semplici “martelli”.

Forse un’immagine diversa potrebbe aiutarci a dare un giudizio su queste nuove tecnologie in modo più adeguato? Il recente documento del Dicastero delle comunicazioni parla dei mezzi di comunicazione non tanto come semplici strumenti, ma come “spazi”3. Se usiamo dunque la chiave di lettura di uno “spazio”, notiamo subito come si passi da una visione bidimensionale, tra utile e dannoso, ad una tridimensionale, dove si considera una prospettiva più ampia e sfaccettata. 

Sfruttando questa chiave, possiamo immaginare Internet come un grande territorio, e i mezzi di comunicazione di massa, come Facebook, Instagram o Tik Tok, come le città e i villaggi che popolano l’area. Sono paesi brulicanti di gente! È innegabile come ormai questi spazi riescano ad attrarre per lunga parte della giornata uomini e donne, e diventino nuovi spazi di socializzazione, di informazione, o anche solo di istruzione. Questa prima osservazione ci dice come piaccia o non piaccia, questi luoghi sono molto frequentati. E in quanto tali, sono ambienti di predicazione (di questo ne parla l’articolo di fra John Church, sull’apostolato digitale che stanno compiendo ad Oxford).

Sono quartieri che tuttavia cambiano aspetto in fretta, sia nell’affollamento che nelle caratteristiche. Alcuni muiono e non se ne sente più parlare, come Myspace dei primi duemila. La parabola di caduta non è così sorprendente, visto che molti di questi spazi cercano prima di attirare la più grande quantità possibile di persone, creando un ambiente attraente e gratuito, e poi mano a mano che la piattaforma si popola, trovano dei meccanismi più o meno nobili per farci soldi (come riempire tutto di pubblicità). Un po’ come se si abbassassero le tasse di un paese, si fornissero tanti servizi gratuiti, e una volta che il luogo si è popolato, si riempisse tutto di cartelloni pubblicitari o di autovelox implacabili per mungere i cittadini. La cosa funziona per un certo tempo, finché la maggioranza degli abitanti non si trasferisce in un quartiere più sano, dove ricomincia il processo (è successo qualcosa di simile da Facebook verso Instagram)4. Questa consapevolezza dovrebbe aggiungersi alla prima constatazione sulla popolosità dei social media. Sono molto frequentati sì, ma molti di questi paesi conoscono una gloria effimera e transitoria.

Un’altra intuizione che ci può venire dalla chiave di lettura degli spazi è che non tutti i luoghi sono adatti a determinati scopi. Si va in pellegrinaggio in Terra santa, non a Las Vegas!5 E per respirare aria pulita si va in vacanza in montagna, non in una metropoli congestionata della Pianura Padana, una tra le regioni più inquinate d’Europa. Così anche per i media sociali. Alcuni dispositivi usati per lo studio come i tablet sono pieni di notifiche da applicazioni social. Mandereste un ragazzo dodicenne a studiare in una sala giochi? Anche queste riflessioni sono importanti, non per denigrare la tecnologia in sé, ma per capire come usarla nel modo giusto (ad esempio, usando dei tablet che permettono l’uso di applicativi social e giochi solo a determinate fasce orarie). Non tutti gli spazi sono adatti a tutte le funzioni (di questo ne parla fra Giovanni Ruotolo con il suo articolo sull’uso delle nuove tecnologie per l’istruzione e l’apprendimento).

Passando così dai modelli di business discutibili del profitto a breve termine, all’uso in ambito educativo, la metafora dello spazio ci è utile a comprendere le luci e le ombre dei social media. Questo compito critico è fondamentale oggi verso di questi, molto di più rispetto ai monaci cistercensi medievali e ai loro orologi. Ma la prospettiva di fondo è la stessa — e in questo l’analogia dello strumento torna buona —: gli strumenti devono essere utili al culto di Dio e per l’uomo, non il contrario. Secoli fa numerose aree d’Europa vennero bonificate dai monaci, spazzando via paludi, malattie e zanzare. Chissà, forse anche oggi spazi e luoghi delle tecnologia insalubri vanno bonificati attraverso una sapienza cristiana, affinché tutta la tecnica sia realmente a beneficio dell’uomo e dell’incontro con Dio.

  1. Interessante sull’argomento anche il libro di David S. Landes, Storia del Tempo. L’orologio e la nascita del mondo moderno, Arnoldo Mondadori, Milano 1984.
  2. Come fecero Chet Baker e João gilberto. Sull’argomento, c’è un bel libro di David Byrne, Come funziona la musica, in cui parla al primo capitolo proprio di come la tecnica abbia influenzato e condotto il modo stesso di fare musica e di cantare.
  3. «la Chiesa ha consolidato l’immagine dei social media come “spazi” e non solo come “strumenti”»
  4. In ambito tecnico, si parla di questo processo con il termine provocatorio enshittification, o decadimento della piattaforma.
  5. Seppure anche a Las Vegas sia presente una comunità domenicana!

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