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A chi predico quando predico online?

A chi predico quando predico online?

fra John Church op
Frate viene filmato, a destra san vincenzo ferrer

Il recente documento sull’impegno nei social media emanato dal Dicastero per la Comunicazione prende l’avvio dalla parabola del Buon Samaritano. La domanda che in quel contesto pone lo scriba — Chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29) — è una domanda decisiva se ragioniamo a proposito dell’apostolato digitale. Decisiva in quanto la risposta non è affatto scontata.

L’atteggiamento dei predicatori del Vangelo non può che essere quello dello stesso Dio trinitario che essi predicano: un Dio che ci chiama a coinvolgerci nella sua stessa vita di comunione. Non si può predicare senza costruire comunione. La predicazione per sua natura tende a rimuovere ogni limitazione dell’ essere prossimo”. Così ha sintetizzato fra Vincent McNabb, un domenicano della Provincia inglese: Ama la gente a cui predichi. Se ti accorgi che non la ami, evita di predicare. Lìmitati a predicare a te stesso”.

Quando ci si chiede Chi è il mio prossimo?” nell’ambito della predicazione ordinaria, la risposta è ovvia: il mio prossimo è colui — chiunque esso sia — con il quale sto condividendo il Vangelo in quel momento. Ma che cosa dire nel caso in cui io non sappia affatto a chi sto predicando? Posso ancora amarlo o amarli? Questa, che si presenta come una sfida peculiare del predicare in un’era digitale, fa sì che non sia per niente facile dare una risposta alla domanda Chi è il mio prossimo?”.

San Vincenzo Ferrer, illustre domenicano spagnolo vissuto a cavallo tra ’400 e ’500, era noto per avere molti sorprendenti doni soprannaturali. Tra le migliaia di miracoli riconosciuti come tali nel suo processo di canonizzazione, uno dei più celebri è quello di essere riuscito a far sentire la sua voce a una folla di quasi 10.000 persone senza alcun tipo di amplificazione. A lui si può applicare quello che il salmista ha detto della meraviglia della creazione: Per tutta la terra si diffonde la loro voce, e ai confini del mondo la loro parola” (Sal 19,5).

L’amplificazione soprannaturale che ha accompagnato la predicazione di san Vincenzo, ai nostri giorni non sarebbe così straordinaria. Una semplice omelia può, con i mezzi di oggi, essere fatta sentire, non da migliaia, ma da milioni di persone. Proprio questa precisa esperienza l’ho vissuta sulla mia pelle nel 2013 sulla spiaggia di Copacabana, quando, nel corso della GMG di Rio de Janeiro, papa Francesco ha predicato a una distesa di più di tre milioni di giovani radunati per la celebrazione della messa.

Un papa che predica alla Giornata Mondiale della Gioventù rimane un evento piuttosto straordinario, ma la possibilità di predicare a una platea estremamente ampia è una caratteristica propria dell’epoca digitale, della nostra epoca contemporanea. Ciò che il predicatore dice, oggi può senza molta difficoltà farsi sentire” da un numero di gran lunga più alto di persone di quante ne possa mai raggiungere la diffusione naturale della voce. Attraverso internet e sui canali di molti social media una qualsiasi omelia può letteralmente essere fatta risuonare fino agli estremi confini della terra”.

Certo, solo pochi hanno a disposizione una presenza sui social media già così consolidata da poter raggiungere immediatamente ogni volta moltitudini di pubblico. Per la maggior parte di coloro che si pongono l’obiettivo di predicare il Vangelo in rete è proprio questa la sfida quotidiana. D’altra parte, però, questa possibilità puramente teorica mette in luce, al di là dei numeri, un altro aspetto della predicazione digitale: non avrai mai la piena cognizione di chi saranno coloro che ascolteranno quello che ti accingi a dire.

Per questi motivi la domanda su chi è il mio prossimo” è estremamente provocatoria se applicata all’ambito della predicazione digitale: san Tommaso d’Aquino, infatti, ci insegna che non possiamo amare ciò che non conosciamo; dunque, è davvero possibile predicare in una condizione in cui non so chi sia il mio interlocutore? Che genere di predicazione può aver luogo laddove un video viene semplicemente gettato nell’abisso di YouTube?

Questa domanda sorge dall’apostolato digitale che viviamo in prima persona come comunità domenicana di Oxford, il cui fulcro è la pagina YouTube da cui trasmettiamo in diretta la messa quotidiana e pubblichiamo vari altri filmati. Il progetto è emerso spontaneamente dal contesto straordinario dei confinamenti per il Covid, e da allora non ha smesso di attrarre costantemente un certo seguito di pubblico. Ogni giorno si collegano in centinaia per assistere alla nostra messa feriale, soprattutto dallo stesso Regno Unito, ma molti anche da un po’ tutto il mondo. Capita di trovare qualche commento, conosciamo alcuni di coloro che ci seguono abitualmente, ma la modalità di comunicazione è molto unidirezionale.

La maggior parte di coloro che sono presenti” ogni giorno ci è totalmente ignota. Ma come possiamo dare un senso a una predicazione di questo tipo, ossia così anonima? Come si accorda l’anonimità con la tensione della predicazione a costruire relazioni comunitarie? O sono due cose totalmente incompatibili?

I Frati Predicatori della prima generazione si immaginavano come condutture, che ricevono la grazia di Dio solo nella misura in cui si apprestano a riversarla fuori a vantaggio degli altri. Questo significa che la nostra predicazione non è soltanto l’esondazione di una vita dedicata alla contemplazione, come fosse solo un permettere agli altri di origliare una conversazione privata tra noi e Dio. Bisogna tenere presente infatti che la contemplazione stessa cresce per noi nella misura in cui ci dedichiamo alla predicazione, cosicché la Parola di Dio, per raggiungere gli altri, ci attraversi, sottoforma delle nostre stesse parole. Così, come il fiume modella la terra in cui scorre, allo stesso modo la Parola di Dio ci plasma e ci dà forma.

Con questa prospettiva, non possiamo non tenere a mente che ogni predicazione del Vangelo dev’essere un’occasione di santificazione per colui che predica. Se la conduttura smettesse di dare, smetterebbe anche di ricevere. Condividendo l’invito del Dio trinitario, il cuore del predicatore si dilata e così riceve quello stesso amore divino in misura più abbondante. Così canta il salmista: Corro per la via dei tuoi comandamenti, e tu allarghi il mio cuore” (Sal 119,32).

Anche se è vero che un’omelia o una conferenza da pubblicare online può richiedere preparativi di tipo differente, il suo effetto nella vita personale del predicatore non può che essere lo stesso e identico: la predicazione del Vangelo, indipendentemente dal suo contesto, è per sé stessa un accadimento divino, un momento santificante. Questo di conseguenza suscita un importante esame di coscienza per coloro che sono coinvolti abitualmente nella predicazione online: la mia predicazione sta portando frutti nella mia vita? Ciò non toglie, tuttavia, la sfida di amare, come predicatori, il nostro prossimo anche in questa nostra era digitale.

È possibile amare colui al quale predico, anche se non lo conosco?

Amare ogni singolo individuo sulla terra è proprio di Dio e per noi è ovviamente impossibile. Ma, così come si amano i nemici in quanto amati da Dio, così, più uno ama Dio, più è reso partecipe dell’amore perfettamente universale di Dio per ogni individuo. In questo senso, sì, amare chi non si conosce e annunciargli il Vangelo è senz’altro possibile.

Ciò con cui stiamo facendo i conti richiama la vicenda di san Vincenzo Ferrer e della sua voce soprannaturalmente amplificata più di quanto possiamo forse immaginare. Infatti, proprio come per san Vincenzo il determinare chi poteva sentire o meno la sua predicazione era al di là delle sue forze naturali, così anche per noi, in internet, è impossibile avere il controllo di chi potrà ascoltare le nostre parole. Ma in entrambi i casi, anche se in modi diversi, è la grazia di Dio a far sì che la sua Parola attecchisca nel cuore dei suoi.

È in questo senso che anche predicare online è un’attività con cui poter edificare la comunità cristiana, nonostante l’anonimità e l’immaterialità siano dei reali limiti di un tale tipo di mezzo: la sfera digitale non può sostituire le dimensioni sacramentali e incarnate della vita cristiana, e per questo sarà sempre mancante e potrà sempre presentare possibili pericoli. Ciò non toglie il suo essere uno spazio in cui la grazia di Dio ha la capacità di operare attraverso il predicatore se di essa egli si fa portatore.

Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza perfetta della verità” (1Tm 2,4). Se il mio prossimo, come predicatore, è colui al quale Dio desidera comunicare la propria vita, allora posso star certo che nessuno sarà escluso da questo elenco. Per questi motivi l’apostolato digitale si presenta come una preziosissima opportunità.


L’articolo è una traduzione dall’originale inglese, reperibile qui.

La statua di san Vincenzo Ferrer è di Giuseppe Sanmartino. L’immagine della foto è di Davide Ragusa.

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