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Sinodalità e Frati Predicatori

Sinodalità e Frati Predicatori

fr. Giuseppe Filippini op
Frati domenicani ad Assisi

La chiamata alla sinodalità

Il 4 ottobre 2023 si è aperta a Roma la Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, tappa fondamentale del cammino sinodale intrapreso dalla Santa Chiesa a partire dall’ottobre 2021. 1 Anche se l’effettivo coinvolgimento delle diverse realtà ecclesiali ha rispettato i tempi suddetti, la necessaria riflessione è iniziata diversi anni prima ed affonda le sue radici negli stessi documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II. Tali premesse si rivelano fondamentali per comprendere non solo il senso e le modalità di una sinodalità correttamente intesa, ma anche il portato biblico e teologico di questa pratica. 

A tal proposito ritengo molto utile, per la compresenza di chiarezza, brevità e precisione, il testo pubblicato il 2 marzo 2018 dalla Commissione Teologica Internazionale e dal titolo La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Di particolare pregnanza è il n. 70 del documento che, in tre brevi punti, riassume efficacemente cosa è da intendersi con il termine sinodalità. In funzione della successiva riflessione, e per l’utilità personale dei singoli lettori, riporto integralmente il brano indicato:

a) La sinodalità designa innanzi tutto lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa, esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo. Essa deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa. Tale modus vivendi et operandi si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il Popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione.

b) La sinodalità designa poi, in senso più specifico e determinato dal punto di vista teologico e canonico, quelle strutture e quei processi ecclesiali in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime a livello istituzionale, in modo analogo, sui vari livelli della sua realizzazione: locale, regionale, universale. Tali strutture e processi sono a servizio del discernimento autorevole della Chiesa, chiamata a individuare la direzione da seguire in ascolto dello Spirito Santo.

c) La sinodalità designa infine l’accadere puntuale di quegli eventi sinodali in cui la Chiesa è convocata dall’autorità competente e secondo specifiche procedure determinate dalla disciplina ecclesiastica, coinvolgendo in modi diversi, sul livello locale, regionale e universale, tutto il Popolo di Dio sotto la presidenza dei Vescovi in comunione collegiale e gerarchica con il Vescovo di Roma, per il discernimento del suo cammino e di particolari questioni, e per l’assunzione di decisioni e orientamenti al fine di adempiere alla sua missione evangelizzatrice.2 

La prima cosa che il documento mette in rilievo è che la sinodalità non è qualcosa di nuovo, una via moderna di vivere il Vangelo, bensì un elemento profondamente ed intrinsecamente radicato nel discepolato stesso di Cristo. La coesistenza nella Chiesa di un moto unitario verso il Signore e di una molteplicità di carismi e ministeri ci rimanda immediatamente al magistero paolino ed alla fortunata immagine del Corpo Mistico. 3 In tal senso la sinodalità è consapevolezza e concreta attuazione della mutua dipendenza e della cooperazione, pur nella distinzione di ruolo e grado, delle diverse membra, tutte unite e dirette verso il solo Capo. 

Da quanto detto si comprende come il fine ultimo del cammino sinodale sia il discernimento della via migliore attraverso la quale, sotto la guida dello Spirito Santo, la Chiesa può seguire il suo Signore e portare il Vangelo alle genti con i mezzi e fra le sfide della nostra epoca. Questo alto obbiettivo, all’interno della retta distinzione di ruoli e ministeri garantita dalla struttura gerarchica della Chiesa, si concretizza in uno stile di vita ecclesiale collegiale e partecipativo, figlio di una sincera fraternità. 

L’Ordine dei Frati Predicatori

La sinodalità, così esposta, ci si presenta nella sua forma più autenticamente cristiana, ossia come qualcosa di tanto nuovo quanto antico. Lungi dall’essere una rivoluzione essa, quantomeno nella sua comprensione teorica, si propone come un ritorno fecondo allo spirito di fratellanza e comunione evangelica, una riforma autenticamente fondata su di una più profonda comprensione della stessa vita ecclesiale. 

Tuttavia la storia dimostra come ciò che è buono e santo nelle intenzioni può, se malamente applicato, dar vita a frutti distorti, forse peggiori dello stesso problema di partenza. Per questa ragione, nell’incessante preghiera che tale rischio non infici il cammino sinodale attuale, ho creduto opportuno proporre umilmente l’esempio del mio ordine religioso, tanto nella secolare esperienza maturata quanto sopratutto nella legislazione che la codifica. 

Chi scrive appartiene all’Ordine dei Frati Predicatori, un ordine religioso mendicante fondato da san Domenico di Caleruega (1171/75-1221) ed approvato da papa Onorio III nel 1216. 4 Legata alla fioritura evangelica ed accademica del secolo XIII, l’opera di san Domenico ebbe come fine quello di dar vita ad una compagine permanente di predicatori, sostenuti spiritualmente da una sana vita regolare e fraterna ma, al tempo stesso, coraggiosamente orientati ad ogni forma di annuncio evangelico. 

Non è mia intenzione presentare un’immagine idilliaca della storia e della missione del mio Ordine né, dati anche i limiti e la natura di questo scritto, elencare tutte le difficoltà incontrate nel perseguimento e nella custodia di questi dati essenziali. Vi basti sapere che, come ogni istituzione umana guidata dallo Spirito Santo, anche noi Predicatori abbiamo subito più volte gli improperi e gli sputi del peccato, nostro o altrui, sempre preservati però dalla salvifica guida della Provvidenza. Proprio sulle spalle di questa prospettiva positiva sulla nostra storia, sorretta ed illuminata dalla fede, oso presentare il nostro specifico cammino non come modello ideale ma come esempio, limitato eppure utile, di concreta applicazione di quei principi sinodali appena esposti. 

L’Ordine di san Domenico: esempio di sinodalità

L’Ordine dei Frati Predicatori si regge, volendo semplificare, su due pilastri: un fine, ossia la salvezza delle anime attraverso la predicazione, ed uno stato di vita che orienti e prepari i suoi membri a perseguire tale scopo. Sto parlando della vita apostolica, costituita da una totale consacrazione a Dio e vissuta nella comunione fraterna. La connessione fra questi due elementi è bene espressa dalla Costituzione Fondamentale dell’Ordine: «Tutte queste caratteristiche della nostra vita (ciò che è noto come “osservanza regolare” ndr) non solo contribuiscono alla gloria di Dio e alla nostra santificazione, ma servono anche direttamente alla salvezza degli uomini, in quanto tutte insieme ci preparano e stimolano alla predicazione, a cui danno, e dalla quale a loro volta ricevono, vigore di vita». 5 

Fatte le dovute distinzioni, possiamo scorgere un legame fra questi pilastri dell’Ordine e quanto si è detto a proposito del sinodalità. In ambedue i contesti il fine è il Vangelo, compreso ed annunciato all’interno dello specifico contesto storico, culturale ed ecclesiale in cui ci si muove. Inoltre, sempre parlando in generale, una simile fraternità, vissuta nella comunione reciproca e nell’ordinata partecipazione al fine, è la condizione nella quale concretamente l’unità del corpo si muove alla sequela di Cristo. Naturalmente non intendo, portando avanti questo accostamento, sottovalutare la specificità della vocazione alla vita consacrata e sacerdotale, né tantomeno sminuire la specifica difficoltà ed intensità della vita regolare. Il mio intento è mostrare come su queste basi sia lecito proporre l’esperienza e la struttura stessa dell’Ordine come elemento di rilievo nella riflessione sul cammino sinodale.

Il fine: l’annuncio del Vangelo

Come ho detto, l’Ordine dei Frati Predicatori nasce esplicitamente per annunciare il Vangelo, tanto a coloro che mai l’hanno udito quanto a quei fratelli e sorelle che, allontanatisi dalla retta via, hanno bisogno di una paterna correzione. Ogni suo elemento, dalla vita stessa dei frati fino allo studio ed alla predicazione vera e propria, trova la sua forma fondamentale proprio nel perseguire con costanza la salvezza delle anime. La chiarezza circa l’identità e l’importanza del fine determina la forma e l’uso dei differenti mezzi, sia in generale che nella concreta ed attuale applicazione. L’esperienza plurisecolare dei domenicani mi consente quindi di lanciare un primo avvertimento: in qualunque modo e con qualunque mezzo il cammino sinodale si svilupperà in futuro, tutti, sia singolarmente che collettivamente, abbiano sempre bene in mente che l’annuncio del Vangelo e la conversione a Gesù Cristo sono il cuore, l’alfa e l’omega, di ogni riflessione e moto ecclesiale. Se si dimentica questa verità capitale, il rischio è di trasformare la Chiesa in un guscio vuoto, una struttura ormai priva di scopo e di vita.

Da questo elemento ne derivano altri due, sempre legati al retto perseguimento del fine: la cooperazione e l’interpretazione. La già citata Costituzione fondamentale recita a tal proposito: «Siccome il ministero della parole e dei sacramenti della fede è un ufficio sacerdotale, il nostro è un Ordine clericale, alla cui missione partecipano in molti modi i fratelli cooperatori, che esercitano in maniera speciale il sacerdozio comune». 6 

La vita dell’Ordine si è sempre retta sul concetto di partecipazione, ossia sull’idea che le singole parti, nell’umile e serena accettazione dei propri limiti e delle proprie peculiarità, partecipano al perseguimento del comune fine senza avere di mira la gloria personale. Come la storia domenicana dimostra, tale altissima modalità d’azione, viva e centrale anche nella comprensione e distribuzioni dei singoli uffici, è tutt’altro che facile da mettere in atto. Poche cose infatti sono più innaturali per l’uomo corrotto dal peccato di un’esistenza che non sia fondata sulla ricerca della gloria e dell’esaltazione individuale. D’altro canto l’alternativa sarebbe un appiattimento orizzontale, tanto ingiusto quanto contrario all’organicità propria di ogni formazione ecclesiale. Data la centralità, nel cammino sinodale, di un procedere che non ometta ma esalti e comprenda la distinzione di talenti e chiamate, ritengo che il concetto di partecipazione esposto e vissuto dai Predicatori debba divenire un elemento chiave della sinodalità stessa. 

D’altra parte il fine deve anche essere compreso nella sua declinazione particolare, tanto in senso sincronico quanto diacronico. La conseguente necessità di una consapevolezza stabile ma non statica della finalità evangelica è bene espressa nel seguente testo: «Lo scopo fondamentale dell’Ordine e il genere di vita che ne deriva conservano la loro importanza in qualunque periodo della Chiesa. Però la loro interpretazione e valutazione, come c’insegna la nostra tradizione, acquistano una estrema importanza nei periodi di più profondi mutamenti e di accelerata evoluzione. In questi casi bisogna che l’Ordine si rinnovi con coraggio e si adatti alle nuove circostanze cercando di conoscere di esaminare ciò che vi è di buono e di utile nelle aspirazioni degli uomini e di inserirlo nell’immutabile armonia degli elementi fondamentali della propria vita». 7 

La sfida contenuta in queste parole mette costantemente alla prova i Predicatori di ogni tempo e luogo. Il rapporto con il fine cui siamo chiamati deve infatti fondarsi sul concetto di adattamento: stante l’immutabilità del bene da raggiungere, ossia la salvezza delle anime nella comprensione e nell’annuncio del Vangelo, i mezzi debbono essere utilizzati, capiti ed adattati alle diverse circostanze. Ciò delinea uno stile di aggiornamento e di revisione dell’Ordine molto graduale ed attento, incarnato nella forma di governo che ci è propria. 8 Ritengo che la Chiesa Universale, nel suo cammino sinodale, sia interpellata da una simile necessità. L’esperienza domenicana in proposito mi porta a raccomandare prudenza ed una certa lentezza nei mutamenti, così da permettere al tempo di purificare ogni decisione dagli inganni della fretta. Oltre a ciò, la ferma consapevolezza del valore della stabilità, così rara oggigiorno, deve essere considerata un valore indispensabile per impedire all’animo umano, spesso frivolo, di ricercare novità fini a se stesse.

I mezzi: la fraternità nella carità

Nella vita domenicana la fraternità s’incardina su tre elementi fondamentali, condivisi e vissuti all’interno della vita comune: i consigli evangelici, la liturgia e la corresponsabilità nel governo. 9 La carità, dono di Cristo, da un lato deve permeare tutti questi ambiti di vita, così da vivificarli e strapparli alla mera dimensione precettistica; dall’altro nella loro sana applicazione essa trova il terreno ideale per crescere e svilupparsi. 

I consigli evangelici sono i tre voti di obbedienza, povertà e castità emessi da ogni frate domenicano al momento della sua professione. Essi costituiscono degli insostituibili principi di unità e comunione, tanto tra singoli frati quanto fra la comunità e Cristo stesso. Ecco come si esprimono le nostre costituzioni: «I frati, resi unanimi per mezzo dell’obbedienza, affratellati in un amore più alto attraverso l’esercizio della castità e più strettamente dipendenti l’uno dall’altro tramite il voto di povertà, edifichino prima nel proprio convento la Chiesa di Dio, che poi con la loro opera devono diffondere in tutto il mondo».10 

I consigli evangelici codificano e propongono la forma di vita propria della comunità apostolica, una fraternità costruita allo scopo di seguire da vicino il Signore Gesù nella comunione fraterna. L’osservanza dei voti rientra all’interno della cosiddetta “osservanza regolare”, ossia una forma di vita accuratamente ordinata a consentire ai frati di perseverare e santificarsi in questa spesso ardua sequela di Cristo.11 

Inutile dire che la pratica dei consigli evangelici, di per se stessa, non viene proposta all’interezza del Popolo di Dio. Tuttavia ritengo che la realtà da essi evidenziata e sviluppata sia fondamentale per tutta la Chiesa, imprescindibile per un sano cammino sinodale. I tre voti posseggono infatti il potere di far emergere due elementi chiave del discepolato cristiano: la fragilità che ognuno di noi sperimenta e la dipendenza che ne consegue, verso Cristo in primis ma, secondariamente, anche verso i fratelli. In altri termini, ciò che i religiosi ricercano e vivono nella sua massima perfezione è, in differente misura, una realtà propria della stessa vita di carità: ognuno di noi è tanto debole singolarmente quanto forte e saldo con gli altri. La fraternità che sta alla base della sinodalità non può quindi prescindere dal rilevare e far propria in profondità questa realtà. Solo in questo modo il comune cammino della Chiesa sinodale potrà essere fondato sulla sincera e radicale convinzione che la fragilità di ognuno diviene, nella comunione fondata su Cristo, l’occasione di scoprire e ricevere la forza dell’altro. 

Accogliendo questo fondamento è possibile dare una lettura più profonda della stessa vita liturgica. L’Ordine dei Frati Predicatori ritiene ed insegna che «Nella liturgia,i frati, insieme con Cristo, rendono gloria a Dio per l’eterno disegno della sua volontà e l’ammirabile dispensazione della Grazia, e supplicano il Padre delle misericordie per tutta la Chiesa, per le necessità e la salvezza di tutto il mondo. La celebrazione della liturgia costituisce quindi il fulcro ed il cuore di tutta la nostra vita, che in essa trova il primo fondamento della sua unità».12 

La preghiera liturgica costituisce il cuore pulsante della comunione d’amore con Dio e con i fratelli. Quella fragilità ed interdipendenza messa in risalto dai consigli evangelici viene offerta al Signore in unione a Cristo stesso, divenendo preghiera ed azione di lode dell’intera comunità. Nella liturgia la debolezza si trasforma in lode fervente a Dio, che viene in soccorso dei suoi figli con la sua Potenza; al contempo l’interdipendenza trova espressione nell’accorata richiesta della Grazia, unica fonte di forza e saldezza per la comunità. Il tutto non viene vissuto singolarmente, bensì all’interno di una condivisione fraterna che è essa stessa partecipazione all’Amore di Dio.

La Chiesa sinodale, tanto nella vita ordinaria quanto specialmente nei momenti di condivisione e confronto, deve cercare di vivere in questo modo la liturgia, nelle differenti forme che le vengono proposte. Le varie celebrazioni, ed in modo particolarissimo l’Eucaristia, non possono essere vissute come semplici riunioni o occasioni di ritrovo, bensì come fraterno e comunitario rendimento di gloria a Dio, momento prezioso in cui l’individuale tensione al Cielo diviene un moto realmente ecclesiale.

Infine, i Predicatori hanno sin dal principio elaborato e vissuto una forma di governo che, sulla base del fine loro proprio e della vita fraterna, implicasse «[…] la partecipazione organica e contemperata di tutte le parti per raggiungere il fine proprio dell’Ordine». 13 Ispirata alla forma comunale e cistercense del secolo XIII, la democrazia domenicana ha subito pochissimi cambiamenti nei suoi ottocento anni di storia, dimostrando una flessibilità ed una stabilità non comuni. Al di là della specifiche forme che la costituiscono, ciò che mi preme sottolineare è che l’interezza del sistema si fonda su due principi cardine: la partecipazione, ordinata e rappresentativa, di tutti i frati al governo ed il rispetto dei differenti gradi dello stesso. 

Ogni frate professo solenne, ossia che abbia emesso i voti perpetui, partecipa, con il voto e la parola, al capitolo della sua comunità conventuale e, date alcune condizioni, può anche accedere ai diversi uffici. Questo suo diritto viene esercitato nella consapevolezza che ogni proposta o intervento fatto dovrà sempre passare attraverso il vaglio della comunità, in modo diretto nel caso dei singoli conventi, tramite rappresentanti nel caso delle istanze superiori. Ciò non implica un mero processo fondato sul principio di maggioranza, bensì la sottomissione delle convinzioni singolari alla riflessione, spesso prolungata nel tempo, di tutti i fratelli coinvolti. In definitiva, si tratta di accettare la possibilità che quanto sinceramente ritenuto giusto e santo possa essere considerato imperfetto o semplicemente inadeguato dai fratelli. Ciò deve essere vissuto in spirito di carità e non di competizione, poiché la consapevolezza della propria fragilità porta con sé anche la sincera cognizione dei limiti della propria valutazione. 

Naturalmente la stessa umiltà possiede, per così dire, una dimensione verticale. La sottomissione del singolo alle superiori istanze di governo, come capitoli provinciali o generali, comporta la serena accettazione del fatto che le istanze individuali, anche le più giuste e meditate, possono nascere da prospettive limitate. Per questa ragione la medesima fraternità nella carità implica anche una ragionevole ed umile fiducia verso quei gradi di governo che, per loro stessa natura, trascendono i limiti della dimensione locale. 

Anche il cammino sinodale, come abbiamo letto in apertura, prevede differenti gradi di consultazione ed una condivisione delle prospettive e delle istanze particolari all’interno di una comunità fondata sull’amore. A questo si sovrappone organicamente la dovuta sottomissione alla gerarchia della Chiesa, a quella struttura che, voluta da Cristo stesso, chiama tanti i pastori quanto il gregge a prendere serenamente la propria croce. Ecco che quindi il mio invito si rivolge alle singole persone ed organizzazioni che hanno o avranno occasione di contribuire al cammino della Chiesa: fatelo sempre in un clima di fraternità, sostenendo ragionevolmente le vostre posizioni ma stimando i fratelli a tal punto da sottoporle volentieri al benevolo vaglio della comunità. Vi accorgerete presto che le stesse debolezze e contraddizioni che percepite in voi si trovano anche nei fratelli, a fianco di pregi e difetti che non immaginavate; scoprirete anche però che la comunione con Cristo vi darà una compattezza tanto difficile da spiegare quanto facile da cogliere. Essa si fonderà su di una fraternità d’amore che, radicata in Gesù, porterà ognuno di voi a cercare nell’unità donata dal Signore la via prediletta per superare ogni umana piccolezza.

  1. Cf Documento Preparatorio della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi n. 1, in vatican.va consultato il 25.10.2023.
  2. Cf Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa n. 70, in vatican.va consultato il 25.10.2023.
  3. Cf Rm 12, 1-9.
  4. Per approfondire la figura di san Domenico e la genesi dell’Ordine cf Humbert Vicaire, Storia di san Domenico, Edizioni San Paolo, Cinisiello balsamo 2012; per un’edizione critica delle fonti storiche relative al santo castigliano ed alla sua biografia, cf Gianni Festa, Agostino Paravicini Bagliani, Francesco Santi (a cura di) Domenico di Caleruega alle origini dell’Ordine dei Predicatori. Le fonti del secolo XIII, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2021.
  5. Costituzione Fondamentale (CF) n. IV, in Libro delle Costituzioni e delle Ordinazioni dei frati dell’Ordine dei Predicatori (LCO), EDI, Napoli 2005.
  6. CF n. VI.
  7. CF n. VIII.
  8. «Questo regime comunitario è molto adatto allo sviluppo dell’Ordine e ad una sua frequente revisione. […]. Questa continua revisione è indispensabile non solo per uno spirito di perenne conversione cristiana, ma anche per la vocazione propria dell’Ordine che esige da esso una presenza nel mondo adatta ad ogni generazione»; CF n. VII.
  9. Cf CF n. IV.
  10. LCO n. 3, II.
  11. Cf LCO nn. 39-55.
  12. LCO n. 57.
  13. CF n. VII.

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