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Paolo VI e la sinodalità

Paolo VI e la sinodalità

fr. Giovanni Ruotolo op
  • “Chi sei, tu Chiesa, e cosa dici di te stessa?” — San Paolo VI
Immagine di san Paolo VI stilizzata

In questo articolo cercheremo di presentare quale sia stato il magistero di san Paolo VI (1963-1978) sul tema della sinodalità e di come questo tema sia ampiamente presente nel magistero del Concilio Ecumenico Vaticano II. In questa sede non si intende fare un confronto fra questo magistero e le novità nella lettura del tema della sinodalità che si sta sviluppando con l’attuale pontificato di papa Francesco, ma solamente presentare alcuni elementi del magistero conciliare e quello di san Paolo VI su un tema di così grande attualità. 

La Commissione teologica internazionale (CTI) spiega che: “La sinodalità, in questo contesto ecclesiologico, indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice” .1  Probabilmente è proprio per la sua natura così architettonica che nel magistero conciliare non ci sia un’esplicita menzione del termine (si pensi che nel Catechismo della Chiesa cattolica per due volte è menzionato il sinodo, ma mai la sinodalità). 

Il Concilio Vaticano II indetto da san Giovanni XXIII nel 1959, ha fortemente sottolineato il peso della collegialità — che in un certo senso, è già un modo di vivere la sinodalità nella gerarchia —  proponendo anche un approfondimento della figura del pontefice.2  Si tratta, senza dubbio, di un necessario approfondimento della figura petrina, lasciata, se ci si può permettere l’ardire, non completamente delineata dal Concilio Vaticano I, il quale pure aveva affermato il dogma dell’infallibilità del papa nelle sue pronunce ex cathedra. Sarebbe sbagliato leggere questa dinamica in un’ottica di pura contrapposizione tra il primato petrino e la natura sinodale della Chiesa. Su questo punto infatti la Commissione teologica cita come esempio“la consultazione, condotta attraverso i Vescovi presso tutto il Popolo di Dio, voluta dal Beato Pio IX in vista della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, prassi seguita da Pio XII in riferimento alla definizione del dogma dell’Assunzione di Maria”.3 

Se vogliamo invece approfondire la prima questione, dobbiamo prendere in mano la Costituzione dogmatica Lumen gentium.4   I punti essenziali dei numeri 22 e 23 sono: l’unità del collegio episcopale; l’unione del papa con i vescovi, in cui emerge il primato petrino caratterizzato dalla potestà “piena, suprema e universale”. Si sottolinea in particolare la responsabilità condivisa dei vescovi con il Papa nel governo della Chiesa: “D’altra parte, l’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa [63] sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice”.5  Paolo VI ha svolto un ruolo fondamentale nel dare forma a questa visione, promuovendo un modello di collegialità che riconosce il ruolo unico del vescovo all’interno della Chiesa locale e, al contempo, la sua comunione con la Chiesa universale e con il Vicario di Cristo.6 

  1. Dopo il Concilio

Ispiratore e fedele interprete di questo orientamento, Paolo VI ha continuato l’opera con alcuni significativi atti: il primo è la lettera apostolica in forma di motu proprio Apostolica Sollecitudo7 n cui viene istituito il Sinodo dei vescovi. Così scrive il papa per motivare la sua decisione: “il Concilio Ecumenico è stato anche la causa che Ci ha fatto concepire l’idea di costituire uno speciale consiglio permanente di sacri Pastori, e ciò affinché anche dopo il Concilio continuasse a giungere al popolo cristiano quella larga abbondanza di benefici, che durante il Concilio felicemente si ebbe dalla viva unione Nostra con i Vescovi”.8   

Non manca nel pur breve documento una nota che già rivela come il tema della sinodalità non sia solo una solitaria intuizione di un pur santo e illuminato pontefice, ma la raccolta di un sentire che era ampiamente riecheggiato all’interno del Concilio: “e ciò facciamo tanto più volentieri in quanto sappiamo che i Vescovi del mondo cattolico appoggiano apertamente questo Nostro progetto, come risulta dai pareri di molti sacri Pastori, che a tal proposito sono stati espressi nel Concilio Ecumenico”.9 

Di poco successivo è il decreto Christus Dominus.10   Questo documento si propone chiaramente di sviluppare ulteriormente i temi conciliari contenuti in Lumen gentium approfondendo ulteriormente la struttura e la funzione dell’ufficio episcopale e sottolineando l’importanza della collaborazione tra i vescovi e il loro rapporto con il Papa. Il decreto riafferma l’idea che i vescovi, come successori degli apostoli, partecipano alla cura pastorale della Chiesa, illustrando la natura sinodale del governo della Chiesa. In particolare, il n. 5 del decreto stabilisce che: “Una più efficace collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi dallo stesso romano Pontefice stabiliti o da stabilirsi, i vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato Sinodo dei vescovi. Tale Sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale” .11 

Temporalmente precedente, ma evidentemente prodromica degli sviluppi successivi, è l’enciclica Ecclesiam suam, il primo atto magisteriale di papa Montini, che viene pubblicata a concilio ampiamente in corso, e in cui il successore di Giovanni XXIII, pur con la sua riconosciuta prudenza, propone un’importante riflessione alla Chiesa universale.  Papa Paolo VI approfondisce l’autocomprensione della Chiesa e la sua missione nel mondo moderno e immagina la Chiesa come una comunità in dialogo che cerca di impegnarsi con il mondo pur rimanendo fedele ai suoi insegnamenti fondamentali.12  

In modo particolare, dopo aver presentato i temi più attuali e ricordato la necessità di un aggiornamento (per usare il termine caro a Giovanni XXIII) del modo di porsi da parte della Chiesa, non solo nei confronti del mondo, ma anche all’interno dello stesso popolo di Dio, papa Montini tocca il cuore del senso del dialogo: “Quanto lo vorremmo godere in pienezza di fede, di carità, di opere questo domestico dialogo; quanto lo vorremmo intenso e familiare! quanto sensibile a tutte le verità, a tutte le virtù, a tutte le realtà del nostro patrimonio dottrinale e spirituale! quanto sincero e commosso nella sua genuina spiritualità! quanto pronto a raccogliere le voci molteplici del mondo contemporaneo! quanto capace di rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi, uomini sereni e forti!”.13 

In un certo senso sembra quasi un’anticipazione di quanto Paolo VI dirà il 7 dicembre 1965 in occasione della sessione conclusiva del Vaticano II, sottolineando il carattere sinodale del Concilio e l’importanza della corresponsabilità e della comunione tra i vescovi, sempre con parole che non possono lasciare freddi o tiepidi. Paolo VI parla così dell’assemblea conciliare: “Questo Concilio consegna alla storia l’immagine della Chiesa cattolica raffigurata da quest’aula, piena di Pastori professanti la medesima fede, spiranti la medesima carità, associati nella medesima comunione di preghiera, di disciplina, di attività, e – ciò ch’è meraviglioso – tutti desiderosi d’una cosa sola, di offrire se stessi, come Cristo nostro Maestro e Signore, per la vita della Chiesa e per la salvezza del mondo”.14 

  1. Il Sinodo dei vescovi

Anche i primi anni del burrascoso post Concilio vedono Paolo VI impegnato a rafforzare la sinodalità e una bella testimonianza in tale senso sono le parole rivolte dal pontefice il quale, da un lato è ben attento a evidenziarne il perimetro quando afferma che il sinodo non è un quasi concilio: “mancando della composizione, dell’autorità e degli scopi propri d’un tale Concilio, ne ritrae in qualche maniera l’immagine, ne riflette lo spirito ed il metodo, e, Dio voglia, ne impetra i carismi suoi propri di sapienza e di carità”,15  dall’altro non manca di evidenziare il suo fondamentale ruolo: “l’aiuto, il consiglio, il suffragio che Noi speriamo d’avere maggiore da parte dell’Episcopato nell’esercizio del Nostro ministero; e se ciò viene a vantaggio dell’ufficio primaziale, che a beneficio ed a servizio della Chiesa universale Cristo ha assegnato all’Apostolo Pietro”.16 

I temi delle assemblee convocate da Paolo VI sono un elemento molto interessante per comprendere la portata del suo pontificato. Nel 1967 il tema fu: “La preservazione e il rafforzamento della fede cattolica, la sua integrità, il suo vigore, il suo sviluppo, la sua coerenza dottrinale e storica”. Nel 1969 fu “Le Conferenze Episcopali e la collegialità dei vescovi”. In questo senso si vede uno sviluppo quasi pedagogico non solo nei confronti dell’episcopato, ma di tutta la Chiesa che stava cominciando a vivere concretamente, nella complessa pratica quotidiana quelle che erano state le indicazioni del Concilio. Nel 1971, a quattro anni di distanza dall’enciclica “Populorum progressio”  17 il tema fu: Il sacerdozio ministeriale e la giustizia nel mondo”. Nel 1974 il sinodo sull’evangelizzazione precedette di un anno la promulgazione dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi.18  L’ultimo sinodo convocato da Paolo VI, fu nel 1977 fu dedicato al tema “La catechesi nel nostro tempo”

In particolare anche in Evangelii nuntiandi, per quanto non sia esplicitamente riferita alla sinodalità, si può trarre un prezioso insegnamento: “evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale. Allorché il più sconosciuto predicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna la sua piccola comunità o amministra un Sacramento, anche se si trova solo compie un atto di Chiesa […] nessun evangelizzatore è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice, con potere discrezionale di svolgerla secondo criteri e prospettive individualistiche, ma deve farlo in comunione con la Chiesa e con i suoi Pastori. La Chiesa, l’abbiamo già rilevato, è tutta intera evangelizzatrice” 19 in un’opera che vede la necessaria comunione del papa con i vescovi e della chiesa universale con le chiese locali e che coinvolge a suo modo tutti: il papa stesso, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, i laici.20   Tutti sono chiamati a essere “artefici di unità” e “servitori della verità”.  Interessante è vedere il “metodo” nella sinodalità di Paolo VI. 

Una costruzione di unità che talvolta richiede una demolizione di pregiudizi e di schemi ideologici, come fa notare lo stesso pontefice: “non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza”.21  Probabilmente Montini non poneva queste frasi in senso puramente teorico. Un biografo di Paolo VI, Giacomo Scanzi, nota come il Papa operi con coraggio e decisione per chiudere una contrapposizione che si era evidenziata in seno al Sinodo dei Vescovi e che aveva messo di fronte due tesi sul tema dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo: quella che separava l’annuncio del Vangelo dalla giustizia sociale e quella che identificava il Vangelo con quest’ultima” .22  

Ma il Papa non descrive solo il metodo, va al cuore della collegialità, cerca d’indagare che cosa rappresenti davvero a livello più profondo, teologico. Nel 1969, predicando all’assemblea straordinaria del sinodo dei vescovi, afferma: “il recente Concilio ha messo in migliore evidenza il carattere comunitario della Chiesa, quale aspetto costitutivo fondamentale di essa […] esiste fra noi, eletti alla successione degli Apostoli, un vincolo speciale, il vincolo della collegialità. Che cosa è la collegialità se non una comunione, una solidarietà, una, fraternità, una carità più piena è più obbligante di quanto non sia il rapporto di amore cristiano fra i fedeli o fra i seguaci di Cristo associati in altri diversi ceti? La collegialità è carità” .23 

  1. Humanae vitae e il paradigma della sinodalità

Nel 1963, Papa Giovanni XXIII istituì una commissione per studiare le questioni relative al controllo delle nascite e alla popolazione. Della commissione facevano parte teologi, vescovi ed esperti. Tuttavia, Papa Giovanni XXIII morì nel 1963 e gli succedette Papa Paolo VI. La commissione continuò il suo lavoro sotto Papa Paolo VI. Negli anni ‘60, infatti, all’interno della Chiesa cattolica si era sviluppato un dibattito crescente sull’opportunità di modificare la dottrina sulla contraccezione. Alcuni membri della commissione proposero un approccio più permissivo, suggerendo che l’uso di contraccettivi artificiali potrebbe essere moralmente accettabile in determinate circostanze. Nel corso del sinodo del 1967, il papa promosse una consultazione dei vescovi sul tema della contraccezione, ricevendo solo 26 risposte su 200 interpellati. Le risposte erano per lo più favorevoli alla liceità, i contrari erano sette, fra cui il card. Karol Wojtyla, futuro papa Giovanni Paolo II. Papa Paolo VI dovette affrontare una decisione impegnativa. Dopo molte riflessioni e consultazioni, scelse di sostenere l’insegnamento cattolico tradizionale che proibiva l’uso della contraccezione artificiale. 

Il 25 luglio 1968 pubblicò l’enciclica “Humanae Vitae”. In questo documento, Papa Paolo VI ribadì la condanna dei metodi contraccettivi artificiali ribadendo la connessione inscindibile tra l’aspetto unitivo e quello procreativo del matrimonio.24  La sua decisione fu accolta con polemiche e dissenso all’interno della Chiesa e nel resto del mondo. Molti teologi, sacerdoti e laici si dissero più o meno apertamente in dissenso con le conclusioni dell’enciclica e la sua recezione ha evidenziato le sfide che la Chiesa ha dovuto affrontare nell’affrontare le questioni contemporanee in un mondo in rapido cambiamento. Sinodalità, non è necessariamente unanimismo e il Concilio di Costanza è stato l’illusione di un tempo brevissimo, che nulla c’entrava con la sinodalità apostolica. 

  1. La solitudine di Pietro 

Da questo episodio vediamo un altro aspetto che in Paolo VI emerge nella sua drammaticità, quello della solitudine di Pietro. “Paolo VI sente in modo acuto la responsabilità davanti a Dio che è propria del suo ministero e la solitudine che inevitabilmente ne deriva. La posizione in cui si trova lo indice a paragonarsi a una statua posta sopra una guglia, nonostante sia una persona viva”.25  In questo senso possiamo comprendere il senso profondo dell’impegno di Paolo VI per una chiesa più sinodale e più capace di dialogare con un mondo di cui si ha una visione fiduciosa e positiva ma non subalterna. Un dialogo non solo con il mondo, ma anche con la Chiesa, in cui non sono mancate altre tappe dolorose, il sarcasmo di chi lo chiamava “Paolo mesto” o la tragica vicenda del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.26   Papa Montini, in un certo senso sembrava condannato ad essere incompreso e, probabilmente, ancora oggi continua ad esserlo. La solitudine di Pietro è “totale e tremenda”. Scrive nei suoi appunti personali: “mio dovere è quello di decidere, di assumere ogni responsabilità, di guidare gli altri. Non devo avere paura”.27  Paolo VI non è stato un pontefice debole o pavido, ma proprio nei passaggi più ardui del suo pontificato ha mostrato la fortezza dei miti, la saggezza degli umili, il coraggio di chi confida in Dio.

In Paolo VI abbiamo due aspetti della questione. Il primo, più importante è quello spirituale: la visione della collegialità — e questo è vero anche per la sinodalità — non come diluizione della responsabilità di Pietro o come assemblearismo, poiché il ruolo primaziale petrino è fortemente sottolineato.28  Il modello ricorda quello degli atti degli apostoli, la Chiesa come “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” 29 e in questo modo annunciare il Vangelo al mondo contemporaneo. Le decisioni vanno prese insieme certamente, ma la partecipazione a questa decisione è diversa a seconda del ruolo in cui si presta servizio nella Chiesa. Il secondo, di conseguenza riguarda la visione ecclesiologica di papa Montini, icasticamente delineata in Ecclesiam suam, dove suam si riferisce al fatto che la Chiesa è di Cristo e non a caso in Lumen gentium, accanto alla ben nota definizione di Popolo di Dio e a quella di Corpo mistico di Cristo, c’è anche quella di “regno di Cristo” .30  Particolarmente significative le parole che, in quell’anno, Paolo VI pronuncia in occasione della chiusura della III sessione del Vaticano II. Riferendosi al ministero petrino assunto un anno prima afferma: “Noi non esercitiamo per cupidigia quest’ufficio, ma al contrario lo temiamo”.31  Poco tempo prima, con queste parole vorrei concludere, aveva scritto: “La lucerna sopra il candelabro arde e si consuma da sola. Ma ha una funzione, quella di illuminare tutti, se può”.32  In questo “se può” si vede chiaramente la solitudine necessaria di Pietro completamente votata all’amore e al servizio per l’Ecclesiam suam, che proprio in una comunità può essere ancora più acuta e stridente. Un’esperienza gelida sì, ma che porta frutto, come quella del chicco di grano di cui Gesù parla: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). La solitudine del pastore pavido è dunque la sterilità spirituale, “rimane solo”, ed è permanente. La solitudine del pastore buono invece è solo temporanea, come quella correzione che produce inizialmente tristezza, ma che poi porta un frutto di pace e di giustizia (Eb 12,11).

  1. Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n° 6. [https://www.chiesadimilano.it/wp-content/uploads/2021/11/COMMISSIONE-TEOLOGICA-INTERNAZIONALE-La-sinodalita-nella-vita-e-nella-m..pdf ultima consultazione 31 ottobre 2023.
  2. In prosecuzione e completamento di quanto fatto nel Concilio Vaticano I con la Pastor Aeternus. Costituzione dogmatica Pastor Aeternus, 18 luglio 1870 https://www.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/constitutio-dogmatica-pastor-aeternus-18-iulii-1870.html ultima visualizzazione 31 ottobre 2023. Si veda anche LG, 32, cit.
  3. CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa,  cit. n°37.
  4. Costituzione dogmatica Lumen gentium, del Concilio ecumenico Vaticano II. https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_en.html ultima visualizzazione 31 ottobre 2023.
  5. LG, 22 cit.
  6. LG, 23 e 37, cit.
  7. Lettera apostolica in forma di motu proprio Apostolica Sollecitudo https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19650915_apostolica-sollicitudo.html ultima visualizzazione 31 ottobre 2023.
  8. AS, cit.
  9. Ibidem.
  10. Decreto sulla missione pastorale dei vescovi nella Chiesa, Christus Dominus https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651028_christus-dominus_it.html ultima visualizzazione 31 ottobre 2023.
  11. CD, 5, cit..
  12. Lettera enciclica Ecclesiam suam, https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_06081964_ecclesiam.html ultima visualizzazione 31 ottobre 2023, 91 “La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede. L’apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo”. Cit.
  13. Ibidem,117.
  14. Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II , allocuzione del santo padre Paolo VI https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1965/documents/hf_p-vi_spe_19651207_epilogo-concilio.html ultima consultazione 31 ottobre 2023.
  15. Synodus episcoporum, Discorso di Paolo VI all’inizio dei lavori nell’aula sinodale https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1967/september/documents/hf_p-vi_spe_19670930_inizio-lavori-sinodo.html ultima consultazione 31 ottobre 2023.
  16. Ibidem
  17. Lettera enciclica Populorum progressio https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_26031967_populorum.html ultima consultazione 31 ottobre 2023 ore 14,51
  18. Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19751208_evangelii-nuntiandi.html ultima consultazione 31 ottobre 2023 ore 14,54
  19. EN, 60, cit.
  20. EN, 68, cit.
  21. EN, 19, cit.
  22. Cfr.  Scanzi, G.. Paolo VI: Fedele a Dio, fedele all’uomo . Edizioni Studium. Edizione digitale.
  23. Assemblea straordinaria dei vescovi 11 ottobre 1969, omelia di papa Paolo VI https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1969/documents/hf_p-vi_hom_19691011.html ultima consultazione31 ottobre 2023.
  24. Utile anche la lettura della lettera pastorale indirizzata dall’allora arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini ai fedeli in occasione della Quaresima 1960. http://www.parrocchiaveniano.it/PDFChiesa/Perlafamigliacristiana4.pdf ultima consultazione 31 0ttobre 2023 ore 17,26
  25. Maffeis, A. Introduzione a Paolo VI, Scritti spirituali, Ed. Studium, Roma, 2014, 22.
  26. Paolo VI, Lettera del santo padre Paolo VI agli uomini delle Brigate rosse https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/letters/1978/documents/hf_p-vi_let_19780422_brigate-rosse.html ultima consultazione 31 ottobre 2023.
  27. Cfr. G. Scanzi, Paolo VI. Fedele a Dio, fedele all’uomo, cit.
  28. LG 22, cit. “Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli”.
  29. At 4,30.
  30. LG, 3, cit.
  31. Conclusione della III sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, Allocuzione di papa Paolo VI https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1964/documents/hf_p-vi_spe_19641121_conclusions-iii-sessions.html ultima visualizzazione 31 ottobre 2023.
  32. Paolo VI, In nomine Domini, ritiro spirituale (5-13 agosto 1963) in Paolo VI, Scritti spirituali, cit.

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