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Riconciliare e riconciliarsi alla scuola di san Paolo VI

Riconciliare e riconciliarsi alla scuola di san Paolo VI

fr. Giovanni Ruotolo op
Paolo VI. Sullo sfondo, scultura "riconciliazione" di Vasconcellos

A dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, l’anno santo 1975 è l’occasione per papa Paolo VI di rivolgere un messaggio di riconciliazione alla Chiesa e al mondo. Il pontefice bresciano raccoglie, fin dalla sua salita al soglio, l’impegno del suo predecessore Giovanni XXIII. La lettura di questo testo, Paterna cum benevolentia a quasi cinquant’anni di distanza, ne mostra, per certi versi, la dolorosa attualità: anche oggi la Chiesa e il mondo hanno bisogno urgente di riconciliazione, anzi potremmo dire che ne ha sempre bisogno. Come la samaritana al pozzo, è necessario che ci accostiamo alla sorgente di acqua viva che è il Cristo. È la sua iniziativa misericordiosa che ci permette di dissetarci e sostenerci nella vita spirituale. 

La riconciliazione è dunque necessaria: “nel suo duplice aspetto di recuperata pace fra Dio e gli uomini e degli uomini fra loro è il primo frutto della Redenzione ed ha, come questa, dimensioni universali tanto in estensione quanto in intensità”.1  Non è un caso che uno dei modi in cui il sacramento del perdono dei peccati è chiamato è proprio riconciliazione. Un nome che, più di confessione (che attiene a una sola componente del sacramento) rende pienamente del fine del sacramento stesso, ossia riconciliarsi con Dio e con i fratelli. In questo senso possiamo, sperando di non effettuare una forzatura del pensiero di papa Montini, parlare della Riconciliazione come di una realtà costitutiva e ricostitutiva della Chiesa stessa. 

Una delle prime immagini della Chiesa primitiva, che possiamo trovare negli Atti degli apostoli, mostra una comunità perseverante: “nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”.2  Tutto ciò avviene dopo la Pentecoste. Un gruppo di discepoli impauriti e chiusi fra quattro mura, trova il coraggio della testimonianza evangelica fino ad affrontare la persecuzione e il martirio. È interessante, in questo senso, vedere una “terza risurrezione”, dopo quella di Lazzaro e quella di Cristo stesso. Anche la Chiesa, dunque, esce dal suo sepolcro. I due termini che ricorrono più frequentemente in questo inizio degli Atti degli apostoli sono, dunque, perseveranza e unità, indicata dai termini comunione, insieme, comune. In forza di questa perseveranza e unità nella fede, la comunità cristiana attraeva a Cristo perché, come ha ricordato recentemente papa Francesco: “la chiesa cresce non per il proselitismo, ma per attrazione”.3  

A questo clima, dunque, papa Paolo VI si rifà per indicare all’attenzione della Chiesa ciò che può oscurarne la sacramentalità. In questo senso il primo nemico è l’infedeltà. La storia intera della salvezza è costellata di episodi che mettono in evidenza, da una parte la fedeltà di Dio alle sue promesse e l’infedeltà del popolo. Tutta storia dell’Antico Testamento e del Nuovo e la storia stessa della Chiesa è segnata da queste tappe penose.

Le parole di Paolo VI sono un doloroso e addolorato richiamo, come quello di un padre che vede i propri figli allontanarsi da casa. Sono figli che prendono diverse direzioni ma che, nel farlo, si allontanano dalla casa del Padre, convinti come il figlio della parabola del padre misericordioso, di sapere senza bisogno di insegnamento paterno cosa sia meglio per loro.4  Alcuni di loro: “si oppongono alla gerarchia, quasi che ogni atto di tale opposizione sia un momento costitutivo della verità sulla Chiesa da fare riscoprire quale Cristo l’avrebbe costituita”.5  Qui Paolo VI annota che “senza la mediazione del magistero della Chiesa […] rimane compromesso il sicuro congiungimento con Cristo attraverso gli apostoli”.6 

Una prima conclusione che su può trarre dall’inizio della lettura di questo documento è che riconciliarsi e riconciliare non è qualcosa che sia nella nostra discrezione, perché come ricorda il papa, “la nostra riconciliazione deriva dal sacrificio di Cristo volontariamente morto per noi”.  7 in questo senso il richiamo al sacrificio di Cristo come principio di unità serve a richiamarci a quello che è il vero e indispensabile fondamento che non può essere ricercato nelle forme contingenti e necessarie, ma solo in ciò che è veramente e sempre fondante e unificante. Questo non esclude che ci possano essere differenze di carismi, ma questi hanno un vero e significativo senso solo nella misura in cui sono un’espressione dell’unità nel radicamento in Cristo Signore e Redentore.

Paolo VI affida alla sua amatissima Chiesa delle parole che ogni cristiano potrebbe fare sue: “Noi abbiamo il dovere di amare la Chiesa con lo stesso spirito della allegoria del tralcio che deve essere potato per portare maggior frutto (Gv 15,2)”. Molto spesso la ricerca dell’unità in ciò che essenziale, ossia Cristo che è Via, verità e vita,8  ci chiede di potare. La potatura può essere un’operazione molto dolorosa, ma ringraziando il Signore, è bene che lo sia, perchè se è dolorosa vuole dire che stiamo operando sul vivo, mentre il taglio dell’erba che è disseccata, del ramo avvizzito, della pianta morta che non può dare frutto, non può essere doloroso, perché non c’è vita. 

In questo senso riconciliarsi vuol dire fare un’operazione di verità e di carità. Non può esserci una vera riconciliazione senza entrambe: è nettissima la visione di san Paolo VI, che pure non ha mai lesinato alcuno sforzo nell’impegno ecumenico, a cominciare dallo storico incontro con il patriarca Athenagoras del 1964 che ha permesso di ricucire il doloroso strappo del 1054 con la cancellazione delle rispettive scomuniche. “La sollecitudine a accostare i fratelli non deve tradursi in un’attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede […] Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo”.9  La riconciliazione, però, non solo un’opzione fra molte possibili, ma una necessità ineludibile. 

In questo senso proprio il 1964 può essere considerato un anno veramente importante per comprendere con che animo Paolo VI intendesse promuovere la riconciliazione nella chiesa e fra la chiesa e il mondo. Nello stesso anno in cui, in Terra Santa abbraccia Atenagora, Paolo VI è pellegrino in India. Accingendosi a fare ritorno in Vaticano, Paolo VI rivolge un accorato appello ai governanti e ai capi di stato: “Ombre minacciose continuano a incombere sul mondo e a turbare le anime di buona volontà, a paralizzare le energie oneste e costruttive. Fino a quando queste minacce non saranno rimosse, la pace non regnerà sulla terra”.10  Ancora, parlando davanti all’assemblea dell’Onu, il successore di Pietro, pur presentandosi in umiltà, porta la voce “dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che cercassero di rinnovarle […] dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, al benessere e al progresso”.11  

Nel magistero di Paolo VI emerge chiaramente come questo sia un tema di importanza fondamentale. Fra le “varie linee di frattura”, per usare un’espressione cara a Pierre Claverie,12  Paolo VI identifica quella fra cultura e Vangelo come “dramma della nostra epoca” 13 Parole che, oggi, sono ancora più attuali: l’incomprensione che appare irrimediabile fra Chiesa e mondo, era già chiara durante il pontificato di papa Montini, oggi sembra essere ancora più aspra Due documenti di Paolo VI furono fonte, per motivi diversi, di contestazioni e amarezze: Populorum progressio di cui, è rimasta celebre, ma purtroppo inascoltata nei fatti, questa affermazione: “I popoli della fame interpellano oggi in maniera urgente e drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello”.14  İn questa enciclica, Paolo VI vede con lucidità e nitore le “linee di frattura” fra le civiltà tradizionali e quelle dello sviluppo industriale, fra le generazioni e, infine, fra chiesa e mondo.15  

Ancora più evidente, in occasione dell’ultima enciclica di papa Montini, Humanae vitae che gli causò molte polemiche avverse e incomprensione, non solo agli occhi del mondo, ma anche della chiesa. Paolo VI, che aveva incaricato una commissione di affrontare il tema della morale sessuale e familiare, in Humanae Vitae deve annotare come: “erano emersi alcuni criteri di soluzioni, che si distaccavano dalla dottrina morale sul matrimonio proposta con costante fermezza dal magistero della chiesa”.16  

Anche in questo caso si tratta di una complessa opera di riconciliazione fra le istanze del mondo, che vanno ascoltate con carità, ma non necessariamente sempre assecondate e la verità che non possediamo, ma che serviamo. “Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Redentore stesso nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare (cfr. Gv 3,17), egli fu certo intransigente con il male, ma paziente e misericordioso verso i peccatori”.17  Solo così la Chiesa può essere davvero una realtà riconciliata e riconciliante, in quanto: “è presenza e azione di Dio che riconcilia a sé il mondo in Cristo (2Cor 5,19), le quali si esprimono primariamente nel Battesimo, nel perdono dei peccati e nella celebrazione eucaristica, attualizzazione del sacrificio redentore di Cristo e segno efficace dell’unità del Popolo di Dio”.18 


  1. Paolo VI, Paterna cum benevolentia. 8 dicembre 1974 , par. II.
  2. At 2,42
  3. Papa Francesco, udienza pubblica 11 gennaio 2023
  4. Cfr. Lc 15,11-32
  5. Paolo VI, Paterna cum benevolentia, cit. par. III.
  6. Paolo VI, ibidem, par. IV
  7. Paolo VI, ibidem, par. VI
  8. Cfr. Gv 14,6
  9. Paolo VI, Ecclesiam suam,9, 6 agosto 1964
  10. Paolo VI, Messaggio al governanti e ai capi di stato, al momento di lasciare l’India, 5 dicembre 1964
  11. Paolo VI, Discorso all’Organizzazione delle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965
  12. Cfr. Claudio Monge, Gilles Routhier, Il martirio dell’ospitalità, EDB, Bologna, 2018
  13. Paolo VI, Evangeli nuntiandi, 20
  14. Paolo VI, Populorum progressio, 3
  15. Ibidem, 11-13
  16. Paolo VI, Humanae Vitae, 6, 25 luglio 1968
  17. Paolo VI, Ibidem, 29
  18. Paolo VI, Paterna cum benevolentia. 8 dicembre 1974 , par. I.

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