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Cos’è la verità? Il dubbio di Pilato (e dei giornalisti)

Cos’è la verità? Il dubbio di Pilato (e dei giornalisti)

fr. Giovanni Ruotolo op

Cos’è la verità?1 Chiede a Gesù un perplesso Pilato. “Cos’è la verità?” È anche l’interrogativo che in maniera meno drammatica, ma non meno assillante, viene vissuto da chi, della verità, fa il suo mestiere. Parafrasando un memorabile incipit di Michael Connelly, ogni giornalista potrebbe dire che: “La verità è il mio mestiere, ci guadagno da vivere, ci costruisco la mia reputazione professionale”2 e, così, rendere pienamente conto di quella che non è solo una “vocazione”, ma anche una condizione necessaria su cui il giornalismo deve reggersi, pena perdere del tutto la sua rilevanza. Ciò non vuol dire non fare i conti con le enormi pressioni che possono arrivare da due fronti: quello politico e quello economico. Infatti, la libertà di stampa può essere messa duramente alla prova. Ciò è ancora più evidente oggi, nell’infosfera globale in cui viviamo: la possibilità di interferire pesantemente sulla qualità e sulla veridicità dell’informazione si è fatta ancora più pervasiva e penetrante. Ma, proprio per questo, un’informazione indipendente e responsabile è ancora più necessaria in un sistema democratico sano.

A volte riflettiamo poco su quanto sia importante avere fiducia nel giornalismo, ma nella nostra vita sperimentiamo in moltissime altre occasioni la necessità di fidarci, solo che non cui facciamo molto caso: ci fidiamo che il postino non trattenga la nostra posta, che l’autista dell’autobus sia in condizioni di guidare, che il fornaio non confezioni il pane con farina scaduta. Allo stesso modo dobbiamo poter fare affidamento sul lavoro dei giornalisti e degli editori affinché possiamo essere informati in maniera più possibile completa e fedele. Questo è del tutto comprensibile: infatti noi prendiamo molte decisioni importanti, sulla base delle informazioni che riceviamo: decidiamo per chi votare, decidiamo quanto risparmiare e quanto possiamo spendere del nostro reddito, o come curarci, come in questi anni di pandemia abbiamo dovuto fare.

Il modo in cui veniamo informati può influire sulla nostra percezione della realtà e del mondo. Ciò è diventato ancora più importante con la globalizzazione: una volta per vedere il mondo occorreva muoversi, ora, che ci piaccia oppure no, è il mondo che si muove. Arrivano a casa nostra persone da tutto il mondo, con storie, culture e tradizioni diverse, parlando lingue che non conosciamo e che, oltre alla fatica di essere strappati dalla loro terra, devono apprendere non solo una nuova lingua, la nostra, ma anche le tradizioni e la cultura di quello che, fino ad allora, era solo un paese lontano, il nostro paese.

Spesso ci rendiamo conto quanto poco conosciamo del mondo, ma come recita un vecchio adagio, certo, un po’ cinicamente, ma non senza un fondo di verità: “L’importanza di una notizia è inversamente proporzionale alla distanza dallo zerbino di casa”. Poi accade che, quel mondo, in un modo o nell’altro, irrompa nella nostra vita. Ci sono alcune storie che non possiamo semplicemente decidere di ignorare come se fosse facile, come voltare la pagina di un giornale che non ci interessa, o scorrere via una pagina di un sito internet che per noi è indifferente. In queste condizioni siamo ancora più esposti a un’informazione che non solo potrebbe essere tentata dalla semplificazione, dall’esasperazione della retorica e del sentimentalismo, ma che potrebbe non essere più nemmeno in grado di perseguire, di raccontare la verità.

Cos’è la verità?

Ma, appunto, cosa vuol dire verità? Cos’è la verità? Da un certo punto di vista, la parola “verità” da sola, pare che dica troppo o troppo poco. Infatti, se è vero che non pare possibile mettere in discussione, almeno a livello di principio che il compito del giornalista è quello di ricercare la verità, in qualche modo si sente la necessità di una precisazione. In questo senso possiamo distinguere due aspetti: da una parte una tensione oggettiva verso la verità, dall’altra c’è la declinazione concreta e attuale di questo principio. In questo senso possiamo fare riferimento alla legge istitutiva, in Italia, dell’Ordine dei giornalisti che stabilisce:

È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede3.

La libertà di stampa è radicata nel precetto costituzionale dell’art. 214 e nella legge sulla stampa5.

La Corte di Cassazione e la verità

Che cos’è, dunque, questa verità sostanziale? La giurisprudenza ha tentato di dare una risposta a questo fondamentale interrogativo. La Corte di Cassazione6 ha fissato una serie di regole a cui i giornalisti devono attenersi per non incorrere nei rigori della legge. Il criterio identificato è la ricerca della verità oggettiva o, quanto meno di una verità definita “putativa” a condizione che ci sia, alla fonte della pubblicazione della notizia un “serio e diligente lavoro di ricerca” dei fatti esposti. La Corte di Cassazione entra nel vivo e specifica alcuni elementi che possano dare concretezza e una reale applicabilità a questi principi. Il giornalista, infatti, ha l’obbligo di dare un’informazione più possibile completa e corretta. In modo particolare, in vista del rispetto del principio di non colpevolezza delle persone accusate di un reato, si devono rendere pubbliche tutte le informazioni disponibili in quel momento. In altri termini, una notizia a metà è pericolosamente simile a una notizia falsa.

La Corte di Cassazione, in concreto, identifica alcuni elementi che sono sintomatici di un giornalismo scorretto che sono: l’uso di sottintesi “sapienti”, ossia quelle formulazioni che vogliono chiaramente alludere che la verità è esattamente il contrario di ciò che letteralmente si afferma, allo scopo di fare cadere sulla persona interessata, quanto meno l’ombra del sospetto, magari con l’uso di virgolette. Se io vi parlassi di un “onestissimo” funzionario pubblico, assolutamente estraneo ad accettare “ricompense”, in cambio di “favori”, voi cosa pensereste? Giusto, esattamente il contrario. Per quanto è difficile pensare ad un giornalista così sprovveduto da fare questo gioco in maniera così evidente, è possibile porgere le stesse suggestioni in maniera più subdola, per poi cercare di rifugiarsi in un senso letterale del tutto legittimo. Un altro espediente che la Corte sanziona è l’accostamento specioso di fatti non correlati fra di loro quando è inevitabile che il semplice accostamento dei fatti genera una correlazione anche se questa non è esplicitamente dichiarata.

Anche senza voler pensare alla malafede (che, purtroppo, non è possibile sempre escludere di principio), la ricerca della verità può essere un percorso assai impervio. Molti esperimenti, per esempio, hanno dimostrato che non sempre essere testimoni oculari di un fatto ci rende dei testimoni attendibili di quel fatto7. Sia che il giornalista sia testimone oculare di un fatto, sia che debba ricostruire un fatto avvenuto, si tratta, comprensibilmente una corsa in salita. Anche senza esplorare il versante filosofico della questione verità, appare evidente come siano molti gli ostacoli a poter raggiungere quanto meno una verità sostanziale o putativa.

Un elemento di fondamentale importanza è quello della “provvisorietà” necessaria di una verità giornalistica. Quando una notizia è ancora in fase di sviluppo, esempio, un caso di cronaca nera, una vicenda giudiziaria, o l’iter di una legge in parlamento, l’informazione non può che riferire come stanno le cose al momento di postare l’articolo, pubblicare il video o andare in stampa. Il punto fermo alla fine dell’articolo non è quasi mai il punto fermo alla storia che si racconta.

In un mondo in cui scopriamo nuove informazioni ogni giorno e in cui l’universo che cambia ogni giorno si rivela in modi nuovi, le discipline sia della scienza che del giornalismo cercano verità funzionali o pragmatiche che aiutino a spiegare il mondo; informazioni su cui possiamo agire ogni giorno. E quei fatti o l’affermazione della “verità” possono cambiare continuamente. Il modo in cui definiamo la verità scientifica evidenzia questo fatto: la verità scientifica è un’affermazione di probabilità proporzionale all’evidenza. Cambierà nel tempo man mano che cambiano le prove8.

Questo non vuol dire che non ci siano punti fissi in una storia, anche in una notizia in sviluppo, ma c’è sempre la possibilità di un nuovo sviluppo di una vicenda che può mutare, anche radicalmente, il senso della storia stessa. Un dato molto interessante, per quanto inquietante, dell’informazione online è che sembra si stia perdendo la gerarchia dei fatti e delle notizie, sia dal punto di vista della temporalità, sia da quello del valore: poniamo il caso che Tizio sia accusato di un certo reato. La notizia delle accuse a suo carico, magari superate nel tempo con l’accertamento della sua innocenza, potranno rimanere per sempre nell’infosfera, come se fossero delle monadi completamente sganciate dallo sviluppo della storia stessa. In questo caso, nonostante l’apparente e frenetica successione, delle notizie, ciò che è scritto sulla sabbia dei bit, rischia di essere un’immutabile e indistruttibile “colonna infame”, che fissa per sempre un momento come se quel passaggio fosse, a suo modo, una sentenza definitiva. Questo è un altro modo di tradire la verità, invece che servirla9.

Obbiettività o accuratezza?

Per questo motivo, più che interrogarsi cosa sia ontologicamente la verità, può essere utile interrogarsi su come il giornalista si debba comportare per cercare di raggiungere il più possibile la sostanza della verità. Non è un caso che la questione possa essere legata a due possibilità: l’obbiettività o l’imparzialità. Il mito del giornalista obbiettivo, perché è necessario riconoscere che di mito si tratta, ha il grave difetto di non considerare l’umanità, ma di prendere solo in considerazione un principio che, applicato, indipendentemente dalle altre condizioni, dovrebbe portare rendere un giornalista “obbiettivo”.

Annotano Bill Kovach e Tom Rosenstiel che:

Questo è uno dei motivi per cui la discussione sull’obiettività è diventata una tale trappola. Il termine è diventato così frainteso e maltrattato, che per lo più porta la discussione fuori strada. …in origine non era il giornalista che si pensava fosse obiettivo. Era il suo metodo. Oggi, tuttavia, in parte perché i giornalisti non sono riusciti ad articolare ciò che stanno facendo, la nostra comprensione contemporanea di questa idea è per lo più un pasticcio.… [T] la sua “verità giornalistica”… è anche più di una semplice accuratezza. È un processo di smistamento che si sviluppa tra la storia iniziale e l’interazione tra pubblico, giornalisti e giornalisti nel tempo. Questo primo principio del giornalismo – la sua ricerca disinteressata della verità – è in definitiva ciò che lo distingue da tutte le altre forme di comunicazione…10

Molto interessante è il concetto espresso al termine di queste dolorose ammissioni, ossia che: “La ricerca della verità diventa una conversazione. Piuttosto che affrettarsi ad aggiungere contesto e interpretazione, la stampa deve concentrarsi sulla sintesi e sulla verifica”11. Per quanto le basi della professione giornalistica, siano nel loro nucleo essenziale, le stesse, non si può negare che le recenti innovazioni tecniche hanno radicalmente cambiato il modo di produrre e fruire dell’informazione.

Una volta il confine fra l’informazione professionale e il resto della comunicazione (questo non è necessariamente un giudizio di qualità dell’informazione) era più netto e demarcato. Adesso, poiché quasi ognuno di noi ha in tasca uno strumento potentissimo che gli consente di testimoniare ad avvenimenti, di fatto “produrre informazione” il confine fra informazione tradizionale e il mondo dei contenuti generati dagli utenti si sta notevolmente assottigliando fino a quasi sparire. Ecco perché sempre più è necessario verificare le notizie e i documenti che arrivano alle redazioni senza avere la tentazione di utilizzarli tal quali solo perché sembrano dare man forte alle nostre tesi e alle nostre idee. Questo è il motivo per cui, difficilmente i grandi giornali e i grandi networks internazionali utilizzano materiale che non sia stato verificato, per quanto possibile, o si servano di corrispondenti “occasionali”

Non c’è più l’eroe solitario: di chi ci possiamo fidare?

Un altro pregio di questa osservazione è che ci aiuta a mettere da parte l’ideale, anche in questo caso, il mito del reporter solitario che, solo animato dal “sacro fuoco” della verità, smaschera e porta alla luce i misfatti e i complotti dei potenti. Si tratta di una figura che è certamente esistita e che tutt’ora esiste, ma non è più questa la regola. Basta pensare alle parole che Indro Montanelli, nel 1956 invia ai lettori del Corriere dall’Ungheria attaccata (tragica coincidenza, visto quanto avviene in questi giorni) dalle truppe sovietiche: “… nessuno ha visto tutto. Vi dico solo quello che ho visto io”12. Oggi il giornalismo è sempre di più un lavoro di squadra. Su questo concetto puntano in maniera importante le grandi testate internazionali e i grandi network che, proprio sulla forza della collaborazione e della verifica costruiscono e proteggono la loro reputazione perché, nonostante tutte le difficoltà e, a volte, le lusinghe dei vari poteri, politici, economici o di altro genere, il patrimonio più importante è la credibilità13. Una volta si diceva: “L’ho letto sul giornale” oppure, “L’ho sentito alla radio, lo hanno detto alla televisione…” Quella era la garanzia, ma oggi è ancora così? Una volta si potevano fare queste affermazioni senza il rischio di passare facilmente per dei sempliciotti, ma oggi, si può dire: “L’ho letto in internet” con la stessa serenità?

Un elemento molto interessante, su cui riflette su Civiltà Cattolica, Guy Consolmagno S.I. attuale direttore della Specola vaticana è quello del principio di autorità. Annota infatti che:

“Nella società occidentale, la ribellione nei confronti dell’autorità viaggia parallela al desiderio di certezza […] non si può pretendere una verità perfetta e nello stesso tempo respingere qualsiasi persona che affermi di poterci guidare verso quella verità. Si finisce per respingere l’autorità “ufficialmente riconosciuta” a favore di una forma segreta di conoscenza disponibile solo a pochi iniziati”14.

Molto efficacemente, Consolmagno mostra come questa via “gnostica” percorra le vie più aperte pubbliche possibili, ossia quelle della rete e della realtà virtuale, in cui però, si può ritrovare:

l’esperienza di scoprirla da sé, sul proprio personal computer, dentro i confini di casa propria, crea l’illusione che si tratti di un ritrovamento privato e nascosto, che per questa sua tacita natura appare dotato di un valore che trascende le informazioni apprese mediante i media pubblici15.

Questo è lo specchio di quella che Byung Chul Han definisce e descrive come una comunicazione senza comunità16, in cui ad una coazione a continua a produrre, corrisponde una coazione altrettanto continua al consumo. Manca, dunque, il tempo necessario alla comprensione e alla lettura critica dell’informazione, per cui è molto più semplice applicare un filtro acritico della corrispondenza alle nostre credenze e alle nostre aspettative. Oggi, annota l’autore:

non consumiamo non solo le cose, bensì anche le emozioni di cui si fanno portatrici. Le cose non si possono consumare senza fine, le emozioni sì. Così esse si aprono a un nuovo, infinito, campo di consumo. L’emotivizzazione della merce e l’estetizzazione che l’accompagna sono sottoposte alla coazione a produrre; devono aumentare il consumo e la produzione17.

L’informazione, purtroppo, non fa eccezione.

Le fake news: distinguere fra l’errore, la menzogna e la propaganda

Le cosiddette “fake news”, notizie false non sono certamente una novità. Quello che è nuovo e originale, è il modo in cui possono essere diffuse. In questi anni, la rete, in modo particolare “infosistema” dei social network è stato, più o meno a ragione, accusato di veicolare notizie false, con la possibilità, nei casi più gravi di condizionare (bisogna sempre capire fino a quanto) anche le elezioni di grandi paesi. In questo senso possiamo sentire scricchiolare ancora più acutamente il mito dell’obbiettività. Riconoscerlo non vuol dire affatto teorizzare che il giornalismo non debba cercare e pubblicare informazioni accurate e, almeno sostanzialmente, vere, ma al contrario serve perché tutti gli abitanti dell’infosfera, che siano giornalisti o no, abbiano ben chiaro il contesto in cui si muovono e possano valutare nel modo più adeguato le informazioni che ricevono, perché anche i giornalisti ricevono informazione e, in base a queste, possono svolgere il loro lavoro18. Un aspetto molto delicato riguarda il linguaggio. Il rischio concreto è quello di confondere due piani: da una parte quello della verità o falsità della notizia, dall’altra quella del punto di vista delle parti coinvolte. Su questo e altri temi si concentra il corso di studi che l’Università di Maastricht ha dedicato al tema “Global Journalism: Searching for Truth in the Age of Fake News”19:

La maggior parte di ciò che apprendiamo sugli eventi di cronaca globale ci viene dai mass media, un settore spesso descritto come fondato sull’obiettività. Ma in quest’epoca di “fatti alternativi” anche il concetto di oggettività è altamente soggettivo. Le differenze basate su cultura, lingua, politica, economia, strutture di potere e una varietà di altri fattori abbondano. Che cosa sono le fake news quando il “terrorista” di un paese deciso a una distruzione insensata è il “martire” di un altro che sacrifica vite per una giusta causa?20

Ci sono però dei limiti a questa ambiguità: non possiamo cantare come le streghe del Macbeth: “Il bello è brutto, il brutto è bello”21. Il brutto è brutto, il bello è bello, il vero è il vero e il falso è il falso. Anche se viviamo in tempi molto complessi, in cui sembra che la complessità sia diventata una componente quasi strutturale del nostro vivere, questi elementi fondamentali non cambiano.

Un interessante provocazione ci arriva dal giornale Milwaukee Independent22 sulla necessità di recuperare il senso e la cultura del giornalismo. “Everyone should be a journalist. The problem is, few people understand what journalism really is, yet everyone with a social media account is a self-styled journalist these days”23. In altri termini, per svolgere un’attività in maniera veramente professionale non è sufficiente essere in grado di disporre e di utilizzare gli strumenti tecnici (che, a cominciare dalla riduzione dei prezzi, sono sempre più alla portata anche di ha mezzi economici limitati), è necessario mettere come stella polare la ricerca della verità. In questo articolo, l’argomento chiave è questo:

Conosciamo tutti queste nozioni prive di fatti che hanno macchiato la nostra coscienza collettiva come vino rosso su un tappeto bianco. Ad esempio: l’11 settembre era un complotto interno, o lo sbarco sulla luna non è avvenuto. Credenze come queste sono essenzialmente innocue. Possono anche essere discusse durante le vacanze in famiglia o al bar locale e suscitano nient’altro che cenni educati e sorrisi caritatevoli ma sprezzanti. Non importa quanto inverosimili, alcune teorie del complotto non danneggiano direttamente gli altri. Ci sono, tuttavia, credenze più perniciose che fanno un vero danno. Per citarne solo alcuni: i democratici hanno rubato le elezioni presidenziali del 2020, vinte da Donald Trump o i vaccini COVID-19 non sono sicuri. Queste non sono innocue24.

Quando queste credenze entrano, pur dalla porta di servizio, nel sistema dell’informazione che, ovviamente non è coestensivo a quello della comunicazione in generale, i danni possono essere molto gravi, proprio perché noi siamo abituati (e spero con qualche ragione) a pensare a qualcosa diffuso dalle testate giornalistiche in tutte loro diverse forme, come a qualcosa di verificato e attendibile. In un certo senso abbiamo meno “anticorpi” per riconoscere le informazioni false o gravemente errate, quando queste arrivano da fonti verso le quali abbiamo ancora, sostanzialmente, fiducia. Questo ci rende ancora più esposti all’uso propagandistico dei mezzi di comunicazioni come strumento di propaganda: si può cadere nel più tetragono scetticismo ed essere pronti a cadere nella rete della cosiddetta “controinformazione”, nella confusione più totale fra autorità e autorevolezza, che iniziano allo stesso modo, ma finiscono in maniera molto diversa.

Le drammatiche vicende, a cominciare dalla pandemia globale del Covid 19, alla guerra in Ucraina, stanno mettendo seriamente alla prova il sistema dei media e la fiducia del pubblico nei confronti dell’informazione. Una conseguenza, non si sa quanto prevista e voluta della diffusione dei social network, è la ricaduta sul mondo dell’informazione: in un certo senso dall’inizio degli anni ‘90 l’editoria ha avuto l’illusione, un po’ ingenua, che la diffusione online, gratuita dei propri prodotti, avrebbe generato un traffico e un ricavo pubblicitario tale da coprire i costi, aumentare i ricavi e garantire la massima diffusione. Un po’ troppo bello per essere vero e, infatti, non era vero. In più, come se non bastasse, lo stesso errore si sta ripetendo con la diffusione sui social network: in questo caso i media hanno pensato di poter usare queste piattaforme, ma non si sono resi conto di essere stati usati dai social network.

C’è un modo di dire un po’ brutale, ma sensato: “Quando al tavolo da poker non riesci a capire chi è il pollo, vuol dire che sei tu il pollo”. Ossia sei il primo candidato a finire spennato. Fuori di metafora, essere spennati, vuol dire, da una parte non aumentare né i ricavi né la diffusione (i social non trascinano, per esempio, le edizioni cartacee), ma come se non bastasse, si immerge nel rumore di fondo della comunicazione globale da cui un giornalismo professionale dovrebbe tenersi accuratamente alla larga, questo non solo per amore dei valori morali del giornalismo, ma anche solo per un ovvio calcolo di mercato. Questo è un mercato in cui facilmente la moneta cattiva scaccia quella buona.

Ancora nell’articolo del Milwaukee Independent si sottolinea, e questa può essere una buona conclusione a questa breve riflessione, sul fatto che:

Nei social media, i fatti non devono essere reperiti in modo credibile e affidabile. Se suonano vere, se si adattano perché confermano le convinzioni esistenti delle persone, allora va bene. Le persone che si considerano in grado di svolgere il ruolo di giornalisti diffondono disinformazione a un pubblico desideroso di confermare i propri pregiudizi preesistenti. Ma il vero nocciolo della questione è che così tante persone hanno dimenticato come essere consumatori di notizie, come controllare i fatti. Possiamo incolpare i social media per come la disinformazione ha saturato il panorama, ma i veri colpevoli sono coloro che non sono in grado o non vogliono controllare le proprie informazioni”25.

Di fronte alla verità, non basta interrogarsi, come Ponzio Pilato, con un cinico o rassegnato sconforto, ma essere, a proprio modo, cercatori di verità.


1 Gv 18,38

2 Michael Connelly, Il Poeta, Ed. Piemme, Casale Monferrato, 2013

3 L. 69/1963 art. 2

4 “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.

5 L. 8 febbraio 1948 n. 47

6 Corte Cass. I civ. 18 ottobre 1984, n. 5259

7 Si veda, per esempio, l’articolo di Maria Galluccio, L’attendibilità della testimonianza in ambito clinico, https://aipgitalia.org/wp-content/uploads/2015/02/TesinaAIPG14_Galluccio.pdf Ultima consultazione venerdì 25 marzo 2022 ore 11,45

8 “In a world where we uncover new information every day and where the changing universe daily reveals itself in new ways, the disciplines of both science and journalism seek functional or pragmatic truth that helps explain the world; information we can act upon every day. And those facts or the statement of “the truth” can be constantly changing. The way that we define scientific truth bores this fact: Scientific truth is a statement of probability proportional to the evidence. It will change over time as the evidence changes”. What is “Journalistic Truth”? Su Digital Resources Center https://digitalresource.center/content/what-journalistic-truthUltima consultazione venerdì 25 marzo 2022 ore 14,45

9 Di grande importanza, da questo punto di vista anche la questione del cosiddetto “diritto all’oblio” Il diritto all’oblio (studiocataldi.it) Ultima visualizzazione sabato 26 marzo ore 10,47

10 “This is one reason why the discussion of objectivity has become such a trap. The term has become so misunderstood and battered, it mostly gets the discussion off track. …originally it was not the journalist who was imagined to be objective. It was his method. Today, however, in part because journalists have failed to articulate what they are doing, our contemporary understanding of this idea is mostly a muddle.…[T]his “journalistic truth”… is also more than mere accuracy. It is a sorting-out process that develops between the initial story and the interaction among the public, newsmakers, and journalists over time. This first principle of journalism—its disinterested pursuit of truth—is ultimately what sets it apart from all other forms of communications….” Bill Kovach e Tom Rosenstiel Journalism’s First Obligation Is to Tell the Truth. https://niemanreports.org/articles/journalisms-first-obligation-is-to-tell-the-truth/ Ultima consultazione venerdì 25 marzo 2022 ore 11,59

11 “The search for truth becomes a conversation. Rather than rushing to add context and interpretation, the press needs to concentrate on synthesis and verification”. Ibidem

12 Indro Montanelli, Così ho visto la battaglia di Budapest, Corriere della sera, 13 novembre 1956

13 Si veda questo esempio del New York Times https://www.nytimes.com/subscription/truth/truth-takes-a-journalist Ultima consultazione venerdì 25 marzo 2022 ore 12,40

14 Guy Consolmagno S.I., “Covid, fede e infallibilità della scienza”, in Civiltà Cattolica n° 4118, 15 gen/5 feb 2022, 105-119,

15 Ibidem, 114

16 Cfr. Byung Chul Han, La scomparsa dei riti. Una topologia del presente. Ed. Nottetempo, Milano, 2021

17 Ibidem, 13

18 In questo senso, si veda l’interessante articolo di Peter Vanderwicken, Why the News Is Not the Truth https://hbr.org/1995/05/why-the-news-is-not-the-truth Ultima consultazione, venerdì 25 marzo ore 14,34

19 Qui la pagina del corso https://www.maastrichtuniversity.nl/meta/393210/global-journalism-searching-truth-age-fake-news Ultima consultazione venerdì 25 marzo 2022 ore 13,00

20 Ibidem

21 “Fair is foul, and foul is fair”, W. Shakspeare, Machbeth, Atto I, scena I

22 https://www.milwaukeeindependent.com/syndicated/loss-fact-based-truth-people-understand-journalism-really/

Ultima consultazione venerdì 25 marzo 2022 ore 13,37 b

23 “Tutti dovrebbero essere giornalisti. Il problema è che poche persone capiscono cosa sia veramente il giornalismo, eppure tutti quelli con un account sui social media sono sedicenti giornalisti di questi tempi”. Ibidem.

24 “We are all familiar with these fact-free notions that have stained our collective consciousness like red wine on white shag carpet. For instance: 911 was an inside job, or the moon landing did not happen. Beliefs such as these are essentially harmless. They can even be debated at your family holiday gathering or local bar and elicit nothing more than polite nods and charitable but dismissive smiles. No matter how far-fetched, some conspiracy theories do not directly harm others. There are, however, more pernicious beliefs that do real harm. To name just a few: Democrats stole the 2020 presidential election, which Donald Trump won or COVID-19 vaccines are unsafe. These are not harmless.”. Ibidem

25 “In social media, facts don’t have to be credibly and reliably sourced. If they sound true – if they fit because they confirm people’s existing beliefs – that’s good enough. People who view themselves as fulfilling the role of journalists spread misinformation to an audience that is eager to have its pre-existing biases confirmed. But the real crux of the matter is that so many people have forgotten how to be news consumers — how to vet facts. We can blame social media for how misinformation has saturated the landscape, but the real culprit are those unable or unwilling to vet their information”. Ibidem

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