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La pace del Risorto nella Santa Messa

La pace del Risorto nella Santa Messa

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«Pace a voi!» (Gv 20,19). Quel tono di voce ben conosciuto e lo sguardo profondo infrangono il dubbio, la tensione, l’angoscia del fallimento. Le porte chiuse nell’attesa di una nuova notte non trattengono la venuta e la presenza del Risorto. Non sono sufficienti le parole, servono gesti. Infatti, dopo il Pax vobis, rinnovato sigillo della fedeltà di Dio, nonostante la fuga paurosa degli apostoli dal Golgota, Gesù «mostrò loro le mani e il costato» (Gv 20,20). Non c’è orrore, né disgusto ma la gioia dell’essere perdonati. Non c’è ferita più atroce dell’infedeltà, dell’abbandono nel tormento. Per i discepoli, le mani crocifisse e il petto trafitto conservano traccia bruciante del dolore a causa della solitudine inflitta al Maestro, all’amico. Eppure, quell’invito alla pace detto e ripetuto già conforta e rilancia un’amicizia tradita. 

Alla conferma della comunione segue il tempo urgente della testimonianza. L’epiclesi è preceduta dal soffiare, dall’alitare del Risorto sugli apostoli, insufflavit et divit eis narra la Vulgata (cf. Gv 20,22). Nuovamente, riappare invertita la sequenza di parole e gesti.

Nella narrazione giovannea, la prima apparizione del Risorto amalgama le emozioni e i sentimenti dei presenti con lo straordinario annuncio di vita nuova; con il compimento solenne della predicazione di Cristo, con la risurrezione si dischiudono finalmente gli albori della predicazione apostolica. 

Nondimeno, lo scenario del racconto non si esaurisce nella cronaca ma rimanda ad un contesto liturgico. La scansione tra gestualità e parola ricorda l’essenza formale della liturgia celebrata per ritus et preces.1 

Il gruppo di discepoli radunato propter metum Iudæroum (per timore dei Giudei, Gv 20,19) diventa ἐκκλησία, assemblea dei chiamati, convocati attraverso l’invito alla pace del Signore. 

La pax Christi scende nell’interiorità dell’anima, così come nella profondità etimologica del termine «pace». L’origine dal sanscrito pak- o pag- rimanda al verbo unire, saldare riscontrabili anche nella lingua latina nella voce verbale paciscor ossia concordo, pattuisco

Infatti, la pace sancita da Gesù è un patto reiterato con i discepoli nell’immolazione totale ed eterna della croce. L’ostensione delle mani e del costato ferito non provoca disgusto. Al contrario, suscita la gioia del perdono, l’emozione di rinsaldare l’amicizia, riafferma la comunione spezzata dalla paura. 

In questa pace rinnovata si configura il saluto iniziale esclusivamente episcopale all’assemblea liturgica: «La pace sia con voi». 2 Il vescovo e – solo successivamente – il presbitero rappresentano la presenza sacramentale del Risorto in mezzo al popolo santo di Dio. 3 

Nel III secolo, la Traditio apostolica testimonia che l’ordinazione episcopale era celebrata in die dominica, nelle prime luci del giorno, rammentando i primordi della risurrezione (cf. Gv 20,1-10). Dopo la veglia notturna di digiuno e preghiera, nella liturgia all’alba si supplicava il Padre delle misericordie di donare alla comunità cristiana un nuovo vescovo ricevente il pneûma hēgemonikón, lo stesso principalis spiritus di Cristo effuso a Pentecoste sugli apostoli, fondatori della Chiesa. 4 Se l’ordinazione di sacri ministri consacrati al culto era concepita quale dono divino per la comunione di Dio con il suo popolo, si comprende bene l’identità dell’episcopo quale segno di unità per l’intera comunità ecclesiale.

Similmente al capotavola delle famiglie ebraiche e imitando Gesù al desco di Emmaus (cf. Lc 24,35), nei primi secoli soltanto il Vescovo, riunito con il popolo e il presbiterio, consacrava e spezzava il pane eucaristico, in continuità con la fractio panis degli apostoli (cf. At 2,46). 5 

Non a caso, dal IV secolo nella Chiesa di Roma, si diffuse il rito del fermentum. Una particola già consacrata dal Papa veniva consegnata ai presbiteri delle parrocchie di campagna (tituli). La commistione del frammento eucaristico con il vino del calice diceva la comunione del presbiterio con il vescovo di Roma. 6 Seppur scomparso in epoca carolingia, si ravvisano delle tracce nella forma odierna della Santa Messa: alla frazione dell’ostia segue l’immissione di un piccolo frammento nel calice. 7 

Dunque, vi è connessione tra tale commistione e la pace del Risorto? Incontriamo la risposta nella sinergia di gesti e parole del breve rito dell’immixtio del Missale Romanum promulgato da San Pio V nel 1570 e soggetto a diverse riforme fino al 1962. 

Dopo il Pater noster e il successivo embolismo, il sacerdote tiene nella mano destra il frammento ottenuto da una metà dell’ostia magna. Con esso traccia tre segni super calicem dicendo (o cantando, nella Messa cantata o solenne): «Pax Domini sit semper vobiscum». 8 

Il legame tra la pace del Signore e la commistione del corpo con il sangue contenuto nel calice affermano la fede nella risurrezione, 9 oltre a poter richiamare alla memoria la medesima sequenza d’azioni del predetto brano evangelico giovanneo. Dopo il saluto di pace, Cristo mostra agli apostoli i segni della crocifissione. L’esplicitazione gestuale del Missale Romanum tridentino permette di comprendere visibilmente che dal sacrificio redentivo con cui si compie il mistero pasquale sgorga la pace cristiana. Non è il prodotto umano di un semplice accordo; la pace è un dono divino e la rubrica lo palesa nella gestualità celebrativa. Difatti, nelle messe solenni, il celebrante, dopo aver baciato l’altare, abbraccia il diacono, donandogli la pace di Cristo. 10 Si crea così una catena di trasmissione, 11 di tradizione paolina (cf. 1Cor 15,3), in cui l’altare del sacrificio eucaristico costituisce la fonte e la prima testimonianza dell’autentica pace sacra e duratura (cf. Gv 14,27). L’ordinamento liturgico preconciliare manifesta marcatamente la dimensione fondante e verticale della pace.

Con l’accentuazione dell’aspetto conviviale della sinassi eucaristica, la riforma liturgica del Concilio Vaticano II illumina maggiormente la dimensione orizzontale.

Salvaguardando il profondo significato della commixtio, la pace è annunziata al popolo12 ed introdotta da un’antica orazione in cui è chiaro il riferimento all’ammonimento evangelico «Se tu stai per presentare la tua offerta all’altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta». (Mt 5,23-24). Nell’ordinamento liturgico attuale, le due componenti dell’eucologia precedente al gesto scambievole della pace, intendono sottolineare l’unità tra la comunione con Cristo, cioè la pace promessa e donata (parte anamnetica) e l’unità della Chiesa (parte epicletica). 13

L’osculum pacis, il bacio santo di antichissima tradizione cristiana,14  nell’ambito celebrativo può essere sostituito con le indicazioni delle Conferenze Episcopali regionali. 

Tuttavia, per il rito della pace, qualsiasi gestualità stabilita concorre a manifestare visibilmente il principio di comunione desiderata ed operata tra i membri dell’ἐκκλησία. I chiamati e convocati dalla voce del Signore a celebrare il rendimento di grazie sono sollecitati a vivere sacramentalmente la pace prima di accostarsi alla ricezione dell’eucarestia. «La pace del Signore sia sempre con voi» è l’esortazione divina per vocem Ecclesiae a riscoprirci figli dell’unico Padre e dunque fratelli e sorelle, sospinti dallo Spirito Santo, sui passi di Cristo risorto.


  1. Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 48.
  2. Cf. Cf. Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II renovatum auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum, Editio typica tertia, reimpressio emendata, Typis Vaticanis, Città del Vaticano 2008, 2.
  3. Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 7.
  4. Cf. Traditio Apostolica, 2 in E. Cattaneo (a cura di), I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 2016, 660.
  5. Cf. P. Visentin, «Eucarestia» in D. Sartore – A. M. Triacca (a cura di), Nuovo Dizionario di Liturgia, Edizioni Paoline, Roma 1984, 503.
  6. Cf. M. Righetti, Manuale di storia liturgica, Vol. III, Ancora, Milano 1966, 490-494.
  7. Cf. Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II renovatum auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum, Editio typica tertia, reimpressio emendata, Typis Vaticanis, Città del Vaticano 2008, 127.
  8. Cf. Missale Romanum ex decreto SS. Concilii Tridentini restitutum Summorum Pontificum cura recognitum. Editio typica 1962, edd. M. Sodi – A. Tonolo (Monumenta Liturgica Piana 1), LEV, Città del Vaticano 2007, 1571-1573.
  9. Cf. C. Barthe, Una foresta di simboli. Il senso mistico-allegorico della Messa tradizionale, Fede & Cultura, Verona 2019, 173.
  10. Cf. Missale Romanum ex decreto SS. Concilii Tridentini restitutum Summorum Pontificum cura recognitum. Editio typica 1962, edd. M. Sodi – A. Tonolo (Monumenta Liturgica Piana 1), LEV, Città del Vaticano 2007, 1577.
  11. Cf. V. Raffa, Liturgia eucaristica. Mistagogia della Messa, CLV-Roma 2011, 456.
  12. Cf. Institutio Generalis Missalis Romani, 154: «Deinde sacerdos, manibus extensis, clara voce dicit orationem Domine Iesu Christe, qui dixisti; eaque conclusa, extendens et iungens manus, pacem annuntiat, versus ad populum, dicens: Pax Domini sit semper vobiscum. Populus respondet: Et cum spiritu tuo. Postea, pro opportunitate, sacerdos subiungit: Offerte vobis pacem».
  13. E. Borserini, Il Paradiso sulla terra. Spunti di catechesi liturgica nella Messa, D’Ettoris Editori, Crotone 2018, 208-211.
  14. Si veda Rm 16,16; 1Cor 16,20; 2Cor 13,12; 2Ts 5,26; 1Pt 5,14.

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